mercoledì 9 settembre 2015
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Gentile direttore, «Non tutto quello che si pensa va raccontato, non tutto quello che si racconta va scritto e non tutto quello che è scritto va pubblicato». Questa massima, tratta da 'Halakha and Netiquette' di David Levy, mi ha molto colpito. E mi è tornata in mente leggendo gli articoli di Avvenire riguardanti i buoni pasto e gli allevamenti intensivi. Buoni pasto: ho usufruito fino al giugno del 2001 di buoni pasto. Già allora consideravo non corretto convertirli in buoni acquisto in quanto, con ogni probabilità, il trattamento fiscale del buono pasto è diverso dal buono acquisto che diventa di fatto «una sorta di retribuzione». Inoltre convertendoli in buoni acquisto si danneggia la ristorazione propriamente detta. Io feci la scelta di convertire l’ammontare della somma equivalente ai buoni pasto in offerte. Per questo motivo finanziai, a nome del figlio di una collega rimasto orfano a 11 giorni, la ricostruzione della Cattedrale di Dresda. Alla fine al bambino venne inviato un attestato di riconoscimento. Coltivazioni intensive: ho avuto la fortuna di collaborare con grandi agronomi e direttori di un celebre Istituto Zooprofilattico. Il dramma esistenziale del primo è stato quello di iniziare il proprio lavoro con l’obiettivo di 'sfamare' la popolazione italiana ed europea e finirlo con l’ordine di pagare i contadini «per non produrre». Allevamenti intensivi: a un popolo affamato dopo la guerra bisognava offrire carne a buon prezzo, l’Istituto Zooprofilattico della mia città cominciò ad affrontare il problema del benessere degli animali negli allevamenti già all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso. Lei, direttore, non segua le chimere di coloro che godono dei benefici ottenuti da coloro che hanno portato l’agricoltura italiana allo stato attuale e avanzano critiche 'salottiere', ma prima di far scrivere di agricoltura e allevamenti li mandi a parlare con i docenti della Facoltà di Agraria dell’Università Cattolica di Piacenza e li faccia girare per i campi, gli allevamenti, parlare con i contadini che stanno lavorando e con gli allevatori che curano gli animali. Si informi inoltri sulla proprietà dei terreni che stanno lavorando. Buon lavoro. Francesco Zanatta , Brescia  Giudico ammirevole la sua scelta riguardo ai buoni pasto, gentile signor Zanatta. E la rassicuro sul nostro sguardo sugli allevamenti intensivi: nessun pregiudizio, ma elementi di valutazione messi a disposizione dei nostri amici lettori su base fattuale e secondo una costante tensione a proporre - in aderenza all’insegnamento della Chiesa e del Papa - la via dell’umanizzazione di ogni attività lavorativa e un sano rispetto per tutte le creature. Quanto alla citazione che mi propone, suona bene, ma non mi impressiona: ad 'Avvenire' - pur non essendo infallibili - sappiamo ciò che scriviamo, come farlo, perché e per chi. Marco Tarquinio
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