Lucio Coco, Bée ( Vb)
La sua argomentazione, caro Coco, non fa una grinza, dimostrando – da parte sua – una lucida lettura del mistero di salvezza e di libertà che Cristo ha introdotto nella vicenda umana. A ben guardare, la formula di datazione da lei suggerita – «senza Cristo», «con Cristo» – appare non solo più densa e pregnante ma anche un tantino provocatoria. E tuttavia non sufficiente per modificare ufficialmente un discrimine che è già molto chiaro, soprattutto «nelle coscienze», come lei stesso osserva. Una linea di demarcazione riassunta nella dicitura latina tradizionale «Anno Domini» (abbreviata in A.D.), che significa appunto «Anno del Signore», utilizzata fin dagli albori del cristianesimo col calendario giuliano, poi estesa capillarmente in Europa dall’impero Carolingio e infine ereditata dal nostro attuale calendario gregoriano, subentrato nel 1582. Analoga e altrettanto antica è la formula «Anno Salutis» («anno di grazia» o «anno della salvezza»). L’ontologia nuova innestata nel tempo con l’Incarnazione ha dunque spaccato l’arco temporale, segnando un prima e un poi, al punto da essere stata accolta universalmente, contrassegnando la cronologìa ufficiale in moltissimi Paesi e civiltà del mondo, anche non di cultura cristiana, e divenendo prassi dominante sia per gli usi commerciali sia per quelli scientifici. Essa è inoltre lo standard di riferimento adottato da istituzioni internazionali come le Nazioni Unite e l’Unione Postale Universale. Insomma il calendario dell’era cristiana è divenuto il calendario di tutta l’umanità, nonché della modernità, e questo è già molto bello. E significativo. Anche se l’espressione «avanti Cristo» e «dopo Cristo» divenne veramente diffusa soltanto alla fine del Quattrocento, oggi la lettura di calendari, libri, giornali ci rinvia quotidianamente e incessantemente a quell’Accadimento che ha cambiato – e salvato – la storia. Non dimentichiamocene.
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