Gentile direttore,
mi scuso in anticipo per il disturbo. In questi giorni vivo una grande paura per la fragilità della pace. Ho paura per la sicurezza del mondo, vedo l’assenza della diplomazia e del dialogo. Le diverse telefonate fra i potenti si chiudono solo con minacce reciproche. Sia io che mia moglie ci rafforziamo in questa angoscia, e il nostro vivere quotidiano ha questo peso nell’anima. È difficile affrontare la giornata. Temo che questa paura tragga fondamento dalle cose raccontate e viste fin da piccolo. Ricordo mio nonno mutilato della Grande guerra e vicini in carrozzella perché feriti sempre in guerra. Ho ascoltato i racconti e il vissuto dei mie genitori che hanno visto la Seconda guerra mondiale dove è morto sul fronte albanese un fratello di mamma. Ogni paese ha un monumento in onore ai caduti, manifesto esplicito del sacrificio e della sofferenza. Abbiamo appena celebrato la Giornata della memoria e il Giorno del ricordo: sembrano essersi esauriti senza lasciare una riflessione sui drammi che ogni guerra porta con sé. Vedo poi l’indifferenza di tanta gente; le parole guerra e tensione hanno preso il posto di pace e distensione. Forse si potrebbe indire una giornata di preghiera per la pace e il dialogo fra i popoli. Se i grandi della terra sono sordi, almeno i cittadini facciano sentire la loro voce.
Claudio Zara
Papa Francesco, ha invitato tutte le comunità cristiane a una speciale preghiera per la pace che si è tenuta due settimane fa, mercoledì 26 gennaio. Ma prima e dopo quel momento – al quale hanno partecipato in tanti, e del quale purtroppo tanti altri, anche e soprattutto nel mondo dei media, si sono disinteressati – le iniziative di preghiera, di veglia, di pacifica manifestazione sono continuate e in queste tesissime ore si stanno moltiplicando. Perché la pace non è solo assenza di guerra, ma presenza attiva. Le preghiere non si vedono, ma ci sono. Le parole e gli atti di pace fanno meno notizia, ma vengono dette e compiuti. E sono resistenti a ogni paura e a ogni scoramento, anche se le paure e gli scoramenti non negano affatto. Sono sentimenti umani, più che naturali davanti ai freddi calcoli e all’arroganza dei potenti. Ma naturale e giusto pensare che la preghiera – e la riflessione per chi non crede – e anche il digiuno possano diventare di nuovo, stavolta in modo solenne ed emblematico, un modo pubblico per dire “no” alla guerra in Ucraina e a tutte le prove di forza. Affidando quel “no” al cuore di Dio e all’intelligenza di chi ha orecchi per intendere e possibilità di decidere e incidere.