Una ricerca mostra che c’è una correlazione tra gli aiuti economici e l’attività cerebrale I sostegni monetari, e non solo, prima dei tre anni, una via per combattere l’esclusione - Archivio Avvenire
Si parla a volte di una generazione 'perduta'. O almeno di una parte di essa fortemente penalizzata. La causa può essere una guerra oppure, oggi, una pandemia che si prolunga per anni. I giovani risultano i più colpiti e l’intera società ne soffre. Ma forse anche in tempo di pace e di normalità sanitaria rischiamo di vedere costantemente limitate le potenzialità di tanti bambini senza che questa emergenza sia sotto gli occhi dell’opinione pubblica o all'attenzione dei decisori politici.
Che chi cresce in povertà soffra di uno svantaggio spesso incolmabile non è ovviamente una constatazione nuova. Quello che studi scientifici recenti ci stanno dicendo è però che sono all'opera diversi fattori e che possiamo intervenire in modo selettivo ed efficace. Nuova conoscenza può ribaltare idee consolidate e guidare le politiche sociali in direzioni innovative. L’assunzione di base per tutto questo è che il cervello è il collo di bottiglia in cui si incanalano le componenti più diverse che influenzano la disuguaglianza.
Sapere che il danno relativo subito dai minori svantaggiati non può essere compensato dal solo sforzo individuale, deve spingere ad intervenire sin dalla tenera età su più fronti
Uno studio molto recente ha mostrato che l’attività cerebrale dei bambini è migliore se la madre in difficoltà economica ha ricevuto per un anno dalla nascita un contributo monetario regolare (ne ha accennato su Avvenire Francesco Riccardi il 26 gennaio). Il confronto è stato fatto negli Stati Uniti su un campione di circa 500 famiglie, tutte sotto la soglia di povertà. Alla metà di esse sono stati versati 333 dollari al mese, alla restante parte soltanto 20.
L’esame condotto con l’elettroencefalografia ha rivelato misure più alte su alcune particolari onde elettriche ad alta frequenza nei soggetti di un anno la cui madre aveva ottenuto il sostegno monetario più rilevante. Le onde analizzate di solito si accompagnano a prestazioni cognitive migliori a un’età più avanzata. La differenza tra i due gruppi non è enorme: i ricercatori l’hanno tradotta in un miglioramento da 75 a 81 in un’ipotetica scala a cento posizioni. Memoria, attenzione, capacità di ragionamento sono capacità che hanno un correlato nel cervello, ma siamo solo all’inizio di questo tipo di studi empirici che correlano le abilità con il contesto di crescita.
Perché i bambini hanno un beneficio da un sostegno al reddito della madre? Potrebbe dipendere dal fatto che vengono alimentati meglio. Oppure dalla possibilità della donna di stare di più con i figli, il che si traduce in una stimolazione positiva. Ancora, le minori preoccupazioni economiche possono ridurre lo stress e le emozioni negative nel contesto familiare. Tutto questo contribuisce certamente all’equilibrato sviluppo del bambino e quello che si manifesta a livello comportamentale, senza volere necessariamente assumere una prospettiva materialistica, ha la propria causa nella struttura e nel funzionamento del sistema nervoso. In questo senso, i soldi possono 'comprare' le condizioni più favorevoli perché molti bambini non abbiano una deprivazione permanente rispetto ai loro coetanei più fortunati.
Il punto è infatti che la finestra decisiva perché il nostro cervello si sviluppi nel modo più armonico è quello dei primi tre anni di vita. Successivamente, le differenze non sono più pienamente colmabili. La plasticità resta elevata e vi sono tanti casi di individui che dalle peggiori condizioni nell'infanzia hanno raggiunto vette nelle professioni intellettuali, ma si tratta di una minoranza. Lo studio di Kimberly Noble e colleghi, pubblicato dieci giorni fa, ha alcuni precedenti recenti.
Il gruppo di John Gabrieli ha scoperto nel 2015 che lo spessore della corteccia dei lobi parietale e temporale è correlato con i risultati nei test scolastici: maggiore lo spessore, migliore il punteggio. Gli studenti che provengono da famiglie con reddito più alto hanno cortecce più spesse rispetto a coloro che sono cresciuti in famiglie con basso reddito. E questa caratteristica anatomica può spiegare dal 15 al 45% della differenza nelle valutazioni ottenute. Anche in questo caso non è la disponibilità finanziaria dei genitori a influenzare le prestazioni scolastiche, ma tutti gli elementi che nella prima infanzia sono associati a essa. Non ultima la possibilità di frequentare scuole d’eccellenza nel primo ciclo.
Alcuni squilibri nell’accesso a certi posti e ruoli lavorativi e sociali sono certamente dovuti a meccanismi di mantenimento della ricchezza o di privilegi indipendentemente dalle capacità di ogni singola generazione (è stato documentato, per esempio, che a Firenze certe famiglie sono tra le più facoltose e influenti da secoli). Si può fare ciò stabilendo regole o procedure favorevoli a specifiche categorie. Di converso, chi proviene da contesti deprivati può essere imprigionato in un circolo vizioso di esclusione malgrado brillantezza e potenzialità personali. Qui emerge la difficoltà di sbrogliare la matassa delle cause della disuguaglianza. Tuttavia, ricerche come quella di Noble aiutano a distinguere dove sono in gioco fattori prevalentemente sociali, che possono essere corretti o smantellati, e dove invece si crea un deficit molto più difficile da rimuovere.
Si tratta, come detto, degli effetti che la povertà scrive direttamente nel nostro cervello, dando minori opportunità a chi cresce in un contesto deprivato rispetto alla media della popolazione. Non bisogna infatti dimenticare che non si tratta di un livello assoluto. Ci sono indicazioni che il quoziente intellettivo medio sia andato crescendo costantemente nel Novecento, proprio per il progresso nelle condizioni generali dei giovani. Un neonato in una famiglia povera del 2022 in genere sta peggio di un suo coetaneo ricco ma molto meglio di un suo antenato del 1802.
Infine, va considerato il ruolo del nostro patrimonio genetico, che assegna a ciascuno alcune inclinazioni comportamentali alle quali è complesso sottrarsi del tutto. Per esempio, la forza di volontà – che è oggetto di grande considerazione e apprezzamento nella nostra cultura, parte fondamentale del merito che attribuiamo a chi raggiunge un traguardo – è qualcosa che si manifesta in modo differenziato nei bambini, e un bambino che sa resistere più a lungo alla tentazione di divorarsi un dolcetto sarà in media un adulto con un’esistenza più equilibrata e serena.
Al campione di donne con figli sono stati dati 333 dollari al mese. Le ragioni del beneficio legato al reddito materno sono ancora da indagare
Eccoci allora alle indicazioni per le politiche sociali. Forse è troppo presto per trarre conseguenze immediate. Gli studi però procedono. Il progetto che ha dato i primi esiti dopo un anno proseguirà per altri 36 mesi e a quel punto i risultati saranno più probanti. D’altra parte, si può già cominciare a intravedere l’efficacia di interventi che siano mirati al benessere dei bambini nei loro primi anni di vita, indipendentemente dalla traiettoria dei genitori. Soprattutto nel contesto americano, il welfare universale trova opposizione perché toglierebbe gli incentivi a lavorare e premierebbe chi non ha voglia di impegnarsi. Ma sapere che il danno relativo subito dal cervello dei piccoli svantaggiati non potrà essere compensato completamente dallo sforzo individuale successivo dovrebbe spingere nella direzione di un sostegno attivo, non solo nella forma monetaria. Ciò favorirebbe i singoli e l’intera società.