Torre Annunziata, il luogo del feroce omicidio - Ansa
Picchiato selvaggiamente e ucciso per un posto auto conteso. Così è morto ieri sera, a 61 anni, Maurizio Cerrato, a Torre Annunziata. La sua colpa? Essere intervenuto in difesa della figlia che lo aspettava in auto mentre comprava cibo da asporto, ma che aveva momentaneamente parcheggiato in un posto ritenuto "personale" da un pregiudicato ritenuto affiliato alla camorra, poi fuggito dopo il crimine, commesso però con l'appoggio di altri 3 o 4 malviventi. Il sindaco della città campana, Vincenzo Ascione, ha proclamato il lutto cittadino per il giorno dei funerali, ma ha nche detto che "la violenza e l'efferatezza con le quali è stato perpetrato l'omicidio, fanno letteralmente accapponare la pelle".
Anche per Maurizio Cerrato, come per tutti noi, quello trascorso, è stato un anno difficile. Come tutti noi, anch’egli amava ripetere: «Passerà. E sarà bellissimo il giorno in cui getteremo via le mascherine e parleremo della pandemia al passato» .
Poi, invece di quel giorno tanto atteso, è arrivato un altro spaventoso giorno. Tutto è avvenuto all’improvviso. Maria Adriana, sua figlia, ha una discussione con qualcuno per una questione di parcheggio. Può capitare, la cosa importante è risolverla con intelligenza e un pizzico di simpatica ironia. Lui, come farebbe qualsiasi padre, si precipita a vedere che cosa stia accadendo, ma, nel giro di pochi minuti, viene massacrato a colpi di estintore e ferito al petto da una coltellata.
Agonizzante, morirà poco dopo in ospedale. Aveva 61 anni, Maurizio. Fine di una vita, fine della speranza di uscire dalla pandemia. Tutto è avvenuto così in fretta, tutto è così stupido, tutto così illogico. Tutto così tragico.
Quali misteriosi meccanismi s’ intrecciano nell’animo e nella mente di un uomo quando, con inaudita ferocia, si scaglia su un altro uomo? Che cosa, in quel momento, pensa di risolvere? Perché presta le sue mani al male? In cambio di che cosa rinuncia all’ incommensurabile gioia della libertà? Perché si condanna a vivere il resto della vita con un macigno sulla coscienza? Sempre le stesse domande, che puntualmente tornano ogni volta che un uomo si fa belva di un altro uomo.
Su Torre Annunziata, l’antica città di Oplonti distrutta dal Vesuvio nel 79 d.c., da lunedì sera è caduto un silenzio assordante; un silenzio che ha il sapore e l’odore della morte, della paura, dello sconcerto. Di fronte alla violenza bieca e sciocca che strappa la vita a una persona si rimane inebediti, esterefatti.
Oggi, Torre Annunziata piange il povero Maurizio, assassinato in una tarda sera di aprile di questo nuovo anno che gli faceva intravedere un raggio di luce nel tunnel della pandemia. Il ricorso alla violenza non lascia sul campo nessun vincitore, mai; in un modo o nell’altro, produce solo vittime.
Vittime chi perde la vita e i propri cari; vittime l’assassino e chi gli vuole bene; vittima la società civile. Vittime le giovani generazioni. La responsabilità di poter vivere in pace incombe su tutti, tutti abbiamo il dovere di pesare le parole e le azione prima di parlare o agire. Facendo attenzione a non rinunciare alla verità e alla giustizia, ma anche, per quanto possibile, a non esacerbare l’animo di chi ci sta davanti.
È davvero impensabile dover dire addio alla vita e ai propri cari perché t’imbatti, una sera, in un tizio che decide di fracassarti il cranio. Ancora più grave e triste è la constatazione che orribili scempi di questa portata continuino ad accadere in un Paese nel quale, da duemila anni, risuonano le stupende parole di Cristo sull’amore che tutti dobbiamo a tutti.
Occorre prendere atto che abbiamo dato per scontate troppe cose che, evidentemente, non lo erano affatto. Per la violenza nessuna giustificazione, mai, a cominciare dalla violenza verbale e quella, più subdola e perniciosa, che corre nel mondo virtuale.
Vivere in pace non è qualcosa di automatico; la pace è dono di Dio, ma anche perenne ricerca dell’uomo. Essa è la figlia prediletta del rispetto che ognuno ha il dovere di nutrire verso l’altro. La pace occorre desiderarla e volerla con testarda volontà come il bene più prezioso al quale non si può assolutamente rinunciare. La pace occorre insegnarla e testimoniarla ai figli fin da quando sono in fasce, agli scolari, ai giovani. Condannando, sempre compromessi e senza sconti, l’azione del reo, ma anche rinunciando alla tentazione di accendere roghi per il condannato.