Caro direttore,
nell’ormai infinita storia di tangenti, regalìe e quant’altro di illecito si sta scoprendo fin troppo spesso quando si tratta di opere pubbliche, vanno emergendo, assieme a politici e imprenditori disonesti, uomini appartenenti allo Stato. Costoro, (ai vertici della magistratura amministrativa e della Guardia di finanza) anziché svolgere la funzione di controllo cui sarebbero istituzionalmente preposti, avrebbero contribuito attivamente alla creazione di un ingentissimo danno erariale. Sono solo un romantico utopista se sogno che un giorno vedremo qualcuno di questi infedeli (ovviamente previa condanna definitiva) pubblicamente degradato nel ruolo e nello stipendio (o nella pensione) a parziale ristoro del danno procurato, visto che ben difficilmente lo Stato recupererà una parte che sia poco più che trascurabile rispetto al maltolto? Temo che nel Paese dei diritti acquisiti (quando interessa) questo rimarrà un bel sogno.
Gianni Domenicali, Imola
Non sogno, ma mi aspetto – come lei, caro amico, e come la stragrande maggioranza dei cittadini di questo Paese – che in qualunque situazione emergano responsabilità di servitori dello Stato «infedeli», questi signori – una volta che il tradimento sia stato accertato – paghino i reati commessi anche con la inesorabile e definitiva perdita di tutto ciò che è collegato (ruolo, rango, retribuzioni e contribuzioni…) all’incarico che hanno ricoperto in modo vergognoso e indegno, sfruttandolo, disonorando se stessi e l’amministrazione pubblica e recando danno alle casse dello Stato, cioè al patrimonio di tutti i cittadini. Oggi non è esattamente così, e credo che sia sbagliato. Ma si sta ragionando su come affinare gli strumenti di contrasto alla disonestà che tanto male fa all’Italia e all’onesta speranza di lavoro degli italiani (mi ha impressionato una recentissima analisi del Censis, che evidenzia come scandali e corruzione stiano spingendo più lontano dal nostro Paese gli investitori internazionali: negli anni tra il 2007 e il 2013 un secco meno 58%). Uno strumento può essere quello da lei suggerito. Credo, infatti, anch’io che in una nazione civile e giusta soltanto chi rispetta i propri “doveri” debba poter vantare e mantenere saldi i “diritti” acquisiti. Ciò non vuol dire che tali persone non possano emendarsi e riscattarsi come chiunque altro, ma che la parte "retributiva" della pena che li riguarda non può non includere ogni ragionevole forma di risarcimento alla comunità tradita da chi si era impegnata a servirla.