«Io dare 9 ore 30 euro». Lo dice uno dei due imprenditori di Marsala arrestati ieri con l’accusa di sfruttamento della manodopera agricola a un lavoratore migrante. E poi, alle sue proteste, lo minaccia: «Io non venire più, non prendere più». I poliziotti di Trapani lo ascoltano grazie alle intercettazioni ambientali e telefoniche.
Fino all’ottobre 2016 non era possibile, da allora sì, grazie alla Legge sul caporalato approvata in quei giorni. Anche gli arresti non erano possibili. Con la Legge sul caporalato, sì. Ieri, ai due imprenditori/sfruttatori sono stati anche sequestrati due vigneti e un vasto uliveto, dove facevano lavorare i braccianti/schiavi. Fino all’ottobre 2016 non era possibile. Con la Legge sul caporalato, sì. Proprio quella norma che due giorni fa il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha duramente criticato. «La legge sul caporalato invece di semplificare, complica», ha detto, promettendo di cambiarla. Ma chi questa legge applica ogni giorno pensa invece che sta funzionando.
«Prima i processi per questo reato erano stati solo una trentina in tutta Italia. Oggi invece sono centinaia in varie procure dal Nord al Sud. Inoltre questa legge sta permettendo di attaccare tutte quelle condizioni che ledono la dignità del lavoratore, i diritti sociali, sindacali e della sicurezza», ci ha detto pochi giorni fa Bruno Giordano, magistrato di Cassazione, professore alla Statale di Milano ed ex consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla sicurezza del lavoro. E con lui tanti altri magistrati e uomini delle forze dell’ordine che questa legge utilizzano con successo nelle aree dove lo sfruttamento è più forte, dal Foggiano alla Piana di Gioia Tauro, dalle province di Ragusa e Siracusa al Casertano.
Certo, come tutte le leggi, soprattutto quelle fortemente innovative e che inaspriscono controlli e pene, richiederà un’attenta verifica, una sorta di "tagliando". Ed è quello che stanno facendo sia il Ministero della Giustizia sia il Csm. Vedremo i risultati. Ma intanto, come detto, i numeri parlano da soli. E non solo. Proprio gli arresti di ieri, ma anche molti altri dei mesi scorsi, confermano che con questa norma è crollata l’ipocrisia del "non lo sapevo" da parte degli imprenditori agricoli. Non si colpiscono solo i caporali, gli intermediari, ma gli utilizzatori finali degli sfruttati, degli schiavi della terra. Non più solo piccole pedine, ma chi si arricchisce grazie a bassi salari, orari infiniti, condizioni di lavoro insicure e insane. E proprio il nuovo strumento del sequestro delle aziende li vuole colpire in modo ancora più efficace, come per i sequestri dei beni ai mafiosi. Provvedimento punitivo e deterrente. E anche avanzato.
Infatti, per scongiurare il cosiddetto "ricatto occupazionale", è prevista la nomina da parte del giudice di un controllore giudiziario per consentire il mantenimento del patrimonio dell’azienda e il livello occupazionale. Per evitare che gli sfruttati diventino disoccupati. E invece, come ci hanno raccontato, l’aspetto più bello di queste vicende sono i visi di questi braccianti quando ricevono il loro primo salario regolare. Braccianti, lavoratori, non "clandestini" o irregolari. Come tali andrebbero trattati, sia migranti sia italiani di nascita.
La Legge sul caporalato – è bene ricordarlo – ebbe un’accelerazione dopo la morte della bracciante pugliese Paola Clemente nelle campagne di Andria il 13 luglio del 2015. Gli sfruttati non hanno un solo colore. Gli sfruttatori quasi sempre sì. Colpirli finalmente in maniera efficace è solo un atto di Giustizia, quella con la G maiuscola. Non complica la vita. Anzi aiuta gli imprenditori onesti che danno la giusta paga per giuste ore, e che invece vengono penalizzati dalla concorrenza sleale degli imprenditori disonesti. Se questa legge complica la vita a sfruttatori e truffatori allora è proprio una buona legge.