A Parigi la politica si avvita, Notre-Dame rinasce
mercoledì 4 dicembre 2024

Tutti per uno, uno per tutti. Chi non conosce il motto dei tre moschettieri usciti dalla fervida penna di Alexandre Dumas? Parole ripetute da grandi e piccini – anche nella variante infedele, a strofe invertite – come sinonimo d’unione incrollabile. La stessa solidarietà che, nel popolarissimo romanzo ottocentesco francese, era al servizio del re, contro i temibili intrighi clericali.
In proposito, come tante altre, la celeberrima opera rima con un vecchio assioma della cultura politica transalpina: un potere centrale “illuminato” garantisce l’unione nazionale, laddove le religioni, meno razionali e affidabili, possono dividere.
Su questo vecchio sospetto verso le religioni, del resto, ha messo radici la laïcité istituzionale, difesa ancor oggi anche citando eventi storici per nulla recenti: soprattutto, il trauma cinquecentesco delle Guerre di religione fra cattolici e protestanti.
Ma nella Francia di queste ultime settimane, scossa da un’instabilità politica mai vista prima sotto la Quinta Repubblica, persino quell’assioma giudicato da alcuni inossidabile potrebbe sciogliersi come burro al sole. I francesi assistono alla rissa accanita fra i tre poli usciti dalle ultime legislative d’inizio luglio: lo zoccolo duro centrale dei fedeli al presidente Emmanuel Macron pressati, come in un sandwich, dalla sinistra “in quadricromia” (socialisti, comunisti, verdi, radicali mélenchoniani), così come dall’ultradestra anti-immigrazione di Marine Le Pen e Jordan Bardella.
Una rissa politica che rischia addirittura di trascinare uno dei membri storici del G7 sull’orlo di una fatale crisi del debito.
In questo scenario persino l’Eliseo, a lungo simbolo d’un potere di ferro, si ritrova impotente. Proprio in questo 2024, che sembrava destinato a dare lustro imperituro a Parigi, per via anche di una concentrazione lussuosa di grandi eventi internazionali, come le celebrazioni per gli 80 anni dallo Sbarco in Normandia o le Olimpiadi estive.
Di certo, in questi giorni il mondo politico e istituzionale transalpino farebbe schiantare dal ridere città e campagne se solo osasse sussurrare il vecchio, celebre motto: tutti per uno, uno per tutti. Il quale, invece, trova un interprete nuovo del tutto credibile, benché inizialmente imprevisto: il cantiere quinquennale della Cattedrale di Notre-Dame rinata dalle proprie ceneri.
In effetti, mai come in questi giorni d’avvicinamento all’attesissima riapertura del 7 e 8 dicembre tante aspirazioni nazionali d’unità e fratellanza sembrano specchiarsi nella rinascita prodigiosa del cuore simbolico di Parigi e della Francia millenaria. Notre-Dame, che esisteva ben prima delle Guerre di religione. Notre-Dame sopravvissuta a testa bassa ai venti furiosi della Rivoluzione. Notre-Dame al cui capezzale è accorso il mondo intero, donando persino 140 milioni di euro in più degli stretti bisogni per la ricostruzione.
In Nuova Zelanda o in Cile, in Botswana o in Mongolia, non molti s’interessano alle querelle quotidiane che hanno fatto vivere le montagne russe al governo di Michel Barnier, dato ora per spacciato, nel mirino di tutte le opposizioni pronte congiuntamente a sfiduciarlo sulle leggi finanziarie. Ma le lacrime e i doni per Notre-Dame, ferita dal rogo del 15 aprile 2019 fin quasi al tracollo, hanno invece abbracciato davvero il mondo intero. Lo sanno bene i media francofoni internazionali di France Médias Monde, che si preparano a dar voce, attraverso lunghe giornate d’edizioni speciali, all’emozione di ogni contrada planetaria. Una Cattedrale per tutti i francesi, e non solo, dunque. E tutto un popolo planetario, fra francesi e non, che si volge verso Parigi grazie alla Cattedrale divenuta un mirabile catalizzatore di fede e sentimenti condivisi.
Tutti per uno, uno per tutti, dunque, ma all’ennesima potenza. Ossigeno puro, di certo, per il pilastro oggi più fragile e offeso della trilogia cara alla République: la fratellanza.
«Non dico che la Chiesa è una macchina per sfornare soluzioni, ma può contribuire, con i suoi valori offerti alla vita sociale, per dar sapore a una visione meno tragica della vita, animata dalla gioia. La chiamo speranza», ha dichiarato al Figaro, in un’intervista anche su Notre-Dame, il cardinale François-Xavier Bustillo, arcivescovo di Ajaccio che si prepara ad accogliere il Papa. Uno di quei messaggi che di certo non passano inosservati nella Francia adesso così sollevata, al di là d’ogni steccato, nel ritrovare lo scampanio e le luci di Notre-Dame. «Non c’è vera fratellanza, senza un Padre comune», ricordava qualche anno fa ad Avvenire il filosofo e accademico di Francia Jean-Luc Marion, evocando i nodi irrisolti della laïcité. Una lezione che s’accosta inaspettatamente, sotto gli occhi di tutti, al sudore di centinaia di donne e uomini in carne e ossa, pronti talora persino a rischiare la vita, fin dalle ore drammatiche del rogo. Proprio i nuovi moschettieri ammirati d’una più alta unione che non lascia indifferenti.

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