Rik
Innanzi tutto, caro amico, grazie per questa sua lettera che è arrivata tardi ieri pomeriggio sulla mia scrivania, ma che è riuscita a dirmi che una risposta immediata era per più di un motivo necessaria. Quando un lettore come lei si dichiara tale per tradizione familiare e per sensibilità umana verso gli ultimi, noi di Avvenire ne siamo felici: per un rapporto di fiducia che continua e per un’attenzione ai più deboli che si rivela profondamente e consapevolmente condivisa. E proprio perché lei è così attento vorrei chiederle: quando mai ha letto su Avvenire che le persone omosessuali sono un "virus" sociale? O, meglio, quando e dove ha trovato anche solo istillata una simile idea? Nelle nostre pagine ha invece certamente incontrato, ogni volta che lo abbiamo ritenuto opportuno e necessario, in particolar modo nella stagione in cui si dibatté tumultuosamente di regolamentazione delle unioni di fatto, richiami al rigoroso rispetto della dignità di ogni persona, coniugati all’invito alla più assoluta tutela della specificità della famiglia costituzionalmente definita, cioè di quella che lei chiama «la famosa famiglia naturale». Nelle nostre pagine – nostre perché anche liberamente sue – ha trovato riflessioni e argomentazioni, mai offese e insulti. Ha trovato inviti alla chiarezza e alla lungimiranza, mai incitamenti alla discriminazione o anche solo un’eco d’indulgenza verso chi intollerabilmente teorizza e pratica esclusione e violenza. Ha trovato indicazioni – onestamente pensate e onestamente affidate al dibattito pubblico – sulla via migliore (quella già oggi, in vari modi, offerta dal Codice civile) per disciplinare le convivenze tra persone dello stesso sesso. Ora sulla cosiddetta legge anti-omofobia ha trovato e troverà ancora lo stesso atteggiamento. Le nostre cronache e il bel fondo scritto ieri da Mimmo Delle Foglie raccontano di un problema serissimo e vero, affrontato, a nostro giudizio, in modo sbagliato. Un problema che le parole della sua lettera aiutano certamente a inquadrare meglio e non limitano a una serie di gravi aggressioni a persone omosessuali per le vie delle nostre città. Vede, gentile lettore, io non credo affatto che il Parlamento abbia deciso sull’incostituzionalità del ddl Concia "contro" gli omosessuali; io credo che la maggioranza dei parlamentari abbia ritenuto in coscienza che per dire "no" a una forma di discriminazione non se ne poteva introdurre un’altra, riconoscendo a una categoria di persone una supertutela. E che era un rischio farlo sulla base di una formulazione concettualmente e giuridicamente ambigua (persino suscettibile di produrre ricadute negative sulla delicatissima sfera della libertà di opinione). Tanto più che la legge offre già oggi strumenti per punire adeguatamente chi in modo abietto si scaglia, in qualunque modo, contro altre persone. Questo conta: siamo persone, ognuno di noi e unico e originale, siamo uomini e donne titolari di una incomprimibile dignità che nessuna legge può darci o toglierci e che nessuna "categoria" giuridica può assegnarci. Siamo persone e siamo cittadini e se la "casistica generale" di cui lei parla è questa, nessuno mai dovrebbe sentirsi poco protetto (dalla legge, dalle forze dell’ordine, dal sentire comune) nel farne parte. Lei è omosessuale, ma non è la sua sessualità che la determina come persona e come cittadino. Lei non è più speciale di me, sposato e padre di famiglia. Siamo differenti, eppure siamo nella stessa "casistica" umana e civile. Dobbiamo educarci a questa consapevolezza, dobbiamo educare a questo. Una società che provoca sofferenza e umiliazione e produce persecutori e violenti è una società che ribolle di cattiva educazione. È una società ferocemente maleducata. E come ha scritto ieri Delle Foglie questa violenta ignoranza si cambia educando davvero (in famiglia, a scuola, nelle parrocchie, per le stesse strade...) non agitando una qualche aggravante-bandiera. Ho letto, caro amico, le sue parole con partecipazione e occhi sgombri. Lei, se vuole, continui a leggere noi.
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