martedì 25 agosto 2009
COMMENTA E CONDIVIDI
Caro Direttore,a Torino un gruppo di ragazzi del popolare e popoloso quartiere di Mirafiori ha avuto problemi a combattere la noia agostana. Non sapendo cosa fare hanno stanato un riccio e lo hanno usato come un pallone da calcio prendendolo a calci fino a ucciderlo. Non contenti di tutto questo hanno poi tentato di dargli fuoco. Mi sento molto toccato da quello che è accaduto, ho una famiglia di ricci nel giardino di casa ai quali metto ogni sera una dose di crocchette di carne (le stesse che mangiano i gatti) e li ho viziati con la ciotola nella quale metto pochi cucchiai di vino. Sono ormai animali addomesticati in pieno e fanno parte della famiglia, infatti non si allontanano più. I ragazzi che si sono resi colpevoli dell’insano gesto sono stati naturalmente denunciati, ma tutto quanto finirà nel nulla. Eppure non sarebbe molto difficile dare qualcosa da fare a questi ragazzi nel periodo estivo, qualcosa di socialmente utile che consentirebbe loro di fare qualcosa che li renderebbe orgogliosi del loro lavoro alla fine della giornata.

Lettera firmata

Non credo che dando a quei ragazzi qualcosa da fare, tutto andrebbe miracolosamente a posto. L’offerta di iniziative – di volontariato, culturali, ricreative, sportive... – può contribuire a far trascorrere positivamente il periodo delle vacanze, ma l’ingrediente fondamentale è la disponibilità interiore, l’attitudine personale, la «buona volontà». Se questa manca, anche la proposta più ricca e coinvolgente si riduce a uno scheletro disarticolato. Anche l’episodio da lei segnalato può essere raccolto nel faldone sempre più voluminoso dell’«emergenza educativa». Non esiste infatti spiegazione per un comportamento tanto efferato, esercitato nei confronti di una povera bestia inerme, diversa dal «vuoto» della mente e del cuore di chi l’ha commessa, in un avvilente crescendo di emulazione violenta. Con ragazzi del genere, il cui comportamento è assimilabile alle azioni dei vandali che devastano le scuole, e degli sciagurati che lanciano sassi dai cavalcavia o contro i treni, il problema è far recuperare le coordinate fondamentali di bene e male; far loro cogliere che la sensazione, il desiderio istantaneo, la voglia improvvisa vanno filtrati dalla responsabilità che misura il loro riflesso sugli altri (e su se stessi). Ma se questa considerazione è semplice da formulare, ben più complesso è metterla in pratica. Ecco perché è giusto far riferimento all’«emergenza educativa»: una situazione che coinvolge l’intera società, che va risvegliata per farsene carico in misura adeguata. Come faceva presente il cardinale Bagnasco, in apertura dell’Assemblea Cei dello scorso maggio: «In realtà, nessuno può gettare la spugna davanti a una sfida sì ardua, ma entusiasmante e decisiva: proprio perché qui si gioca la felicità delle giovani generazioni e il bene della società, merita che investiamo tutta l’intelligenza e la passione di cui siamo capaci». Senza scordare, come il presidente della Cei rilevava poco dopo, che Possiamo dire che, «in certa misura, il problema dei giovani sono gli adulti! Il mondo adulto non può gridare allo scandalo, esibire sorpresa di fronte alle trasgressioni più atroci che vedono protagonisti giovani e giovanissimi, e subito dopo spegnere i riflettori senza nulla correggere dei modelli che presenta ed impone ogni giorno». L’estate va verso la conclusione; la vita familiare e quella parrocchiale ritrovano i ritmi consueti; tra poco riapriranno le scuole: questo problema dev’essere in cima alle nostre preoccupazioni.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI