Gabriele SolianiReggio Emilia
Non posso purtroppo dare risposta, caro Soliani, alla sua domanda finale, che andrebbe ovviamente girata ai responsabili dei palinsesti e delle programmazioni, fra cui non mancano accreditati intellettuali e personaggi che ormai sanno davvero tutto di codici deontologici e delle varie stesure delle «carte dei minori»... Da tempo la famiglia, la scuola, il mondo della televisione e quello di chi deve legiferare sanno bene quali sarebbero gli ingredienti base di una ricetta utile per non tirar su una nuova generazione insidiata da un assortimento di telepatologie: serve una cura di buon senso e buon gusto, di confronto con la realtà (vera, non virtuale) e – soprattutto – è necessaria, da un lato, la saggia compagnia degli adulti e, dall’altro, una seria considerazione dei limiti invalicabili di ciò che può essere mandato per l’etere, soprattutto nelle «fasce protette» di ascolto. Già una generazione – quella degli attuali 20-25enni – è cresciuta sotto l’influsso della cosiddetta «televisione commerciale», riferendo quest’immagine non solo all’emittenza privata, ma in generale alla tv nella quale pubblicità e lotta per lo share prevalgono su tutto. Il lavoro grosso, comunque, non possiamo aspettarcelo dagli altri, deve partire in casa, in famiglia, dalle responsabilità di chi – genitori, fratelli maggiori e nonni – ha in custodia i più piccoli. Con poche e semplici buone regole, praticabili da tutti: evitando di proporre ai bambini programmi inadatti; guardando la televisione insieme a loro, così da esercitare il commento critico; non sostituendo la presenza personale con lo schermo; stabilendo insieme ai piccoli un tempo ragionevole di visione; non lasciando loro in mano il telecomando; e infine cercando svaghi, giochi, passatempi alternativi al piccolo schermo. In tutte le cose necessita misura: in questa, ancor di più.
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