Fiorella Pasotti
Caro Direttore, non le sembra che la frase pronunciata da Berlusconi: «avrete capito che non sono un santo» andrebbe stigmatizzata con vigore da un quotidiano che pone al centro delle sue riflessioni l’etica e la morale? Le sembra possibile che dopo aver negato comportamenti improponibili per un uomo con due mogli, 5 figli, responsabilità pubbliche enormi e una età ragguardevole, ora il nostro premier se la cavi così? I nostri giovani hanno bisogno di esempi un po’ più responsabili e il mondo cattolico dovrebbe essere un po’ più rigoroso circa i comportamenti degli uomini pubblici.Maria Teresa Nizzoli
Caro Direttore, le storie su Noemi, escort, stuoli di ragazze scarrozzate qua e là per allietare il relax del premier mi provoca un senso di fastidio difficile da descrivere e non mi piace neppure scriverne. Lo faccio solo perché mi stupisce che tanti prendano per buona, già accertata, e indiscutibile l’attendibilità delle registrazioni messe su Internet da L’Espresso. Io questa certezza non ce l’ho affatto e spero che la magistratura chiarisca rapidamente la verità. Così come spero che Berlusconi ci aiuti con parole chiare e – una volta tanto – senza battute a capire come stanno le cose.Luigi Ristagno
Forse avrete notato che ieri nella prima pagina di Avvenire non c’era alcun cenno alle ultime spiegazioni avanzate da Silvio Berlusconi. Quelle per intendersi sul «non sono un santo» o «nelle mie dimore passano anche i leader politici del mondo». Ne riferivamo, com’è ovvio, all’interno del giornale, in sede di cronaca, e la notizia era pure presente sul nostro sito; ma «in vetrina» abbiamo preferito sorvolare. Un modo per esprimere disagio rispetto al coinvolgimento di termini di qualche delicatezza per la sensibilità dei nostri lettori. E un modo per prendere le distanze pure dal seguito di una vicenda che non solo non ci convince (com’è ovvio), ma che – per quanto ci è dato di capire – continua a piacere poco o punto a larga parte del Paese reale. Le «rivelazioni» – non sappiamo quanto autentiche –, che si succedono, a disposizione di chi ha la curiosità di continuare a leggerle o ad ascoltarle, non aggiungono (probabilmente) nulla a uno scenario che già era apparso nella sua potenziale desolazione. Nel constatarlo non ci muove alcun moralismo, ma il desiderio forte e irrinunciabile che i nostri politici siamo sempre all’altezza del loro ruolo. Chiarezza per ora non è venuta, ed è un fatto evidentemente non apprezzabile, ma non è questo francamente quel che oggi ci preoccupa di più. Non ci piace che determinati comportamenti siano messi a confronto con un consenso – emergente dai sondaggi – che di per sé è qualcosa di inafferrabile, quasi che da questi possa venire l’avallo a scelte poco consone; così come non ci piace che sull’intera vertenza gravi il sospetto di una strumentalità mediatica, inevitabile forse ma non liberante, circa il punto di vista da cui si muovono le accuse. C’è davvero per la classe politica, ancor prima della decenza, un a priori etico che va salvaguardato sempre e in ogni caso? E che va fatto valere nelle situazioni ordinarie come in quelle straordinarie? Ecco, solo se una simile consapevolezza dovesse ad un certo punto emergere dal dibattito, si potrà allora dire che questa tornata ha paradossalmente avuto una sua, per quanto amara, utilità. Diversamente il Paese, che si è scoperto vieppiù attonito, potrebbe sentirsi anche leggermente raggirato.