Luigi Drigo, Portogruaro (Ve)
L’assistenza agli anziani è un problema sempre più pressante per il nostro welfare e quindi ogni iniziativa volta a migliorarla, affrontandone le criticità, è da salutare positivamente. Da tempo le cosiddette «badanti» sono divenute presenza indispensabile – un vero e proprio ammortizzatore sociale – in un’Italia dove negli ultimi trent’anni gli ultra 75enni sono triplicati, e dove si prevede che i centenari cresceranno di 20 volte entro i prossimi quarant’anni. C’è da ritenere che sarà sempre più così, visto che, a dispetto di una aspettativa di vita sempre più lunga, i servizi pubblici sono, sempre più spesso, messi alle corde dalle ristrettezze dei bilanci pubblici. Diversamente da quanto accade in altri Paesi dell’Occidente – in particolare nell’Europa del Nord, dove le strutture di ospitalità e assistenza alla tarda età sono molto sviluppate –, in Italia la cura dei vecchi rimane affidata essenzialmente alle famiglie, che quando non riescono a coprire le necessità (e dispongono di sufficienti risorse) finiscono per ricorrere all’ausilio degli assistenti domiciliari. Si tratta dell’«aggiornamento» di un antico e solido costume di solidarietà (e di «reti» domestiche), peculiare del nostro Paese, che da un lato preserva gli anziani da ospedalizzazioni e ricoveri troppo facili, ma dall’altro impone alle famiglie difficoltà pratiche ed economiche che devono, quasi sempre, affrontare da sole. Siamo, insomma, di fronte a una sorta di «welfare fai-da-te» che sconta i rischi dell’improvvisazione e dell’inesperienza di taluni operatori. Ben vengano perciò esperienze formative del tipo da lei descritto, caro Drigo, le quali, alla qualificazione «operativa» rispetto al servizio svolto, aggiungono anche concrete opportunità di integrazione: un dato di importanza niente affatto secondaria. Un saluto cordiale.
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