Dall’Alto Adige al Veneto e alla Campania, i territori fanno a gara nel chiudere le porte mentre cresce il divario tra Nord e Sud. Nel Mezzogiorno si muove solo la Chiesa
Sovranisti di territorio avanzano. Al grido di 'prima noi degli altri', nuovi aspiranti capipopolo cercano di intercettare la marea crescente dell’egoismo nazionale. Declinato su base locale, s’intende. Dall’Alto Adige al Veneto, fino ad arrivare a Napoli. Nei giorni in cui la distanza tra Nord e Sud, fotografata anche dal recente rapporto Svimez, ha raggiunto livelli record, l’Italia sembra destinata a diventare il laboratorio di tante piccole secessioni locali. Spesso non subite, ma provocate ad arte.
Un vero e proprio boomerang per chi della ricetta sovranista ha fatto un manifesto politico, stabilendo il 'primato nazionale' (almeno a parole) su tutto il resto. Di propaganda in propaganda, infatti, ciascuno si sente in diritto di pensare alle regole giuste per sentirsi padrone del proprio destino, dimenticando l’esistenza di una comunità più grande cui appartenere.
Sullo sfondo resta il difficile negoziato tra governo e Regioni sulla cosiddetta 'autonomia differenziata', che da banco di prova per un Paese che vuole riequilibrare sperequazioni finanziarie e gap sociali si sta trasformando in una rancorosa rivendicazione di supremazia delle Regioni settentrionali.
Il fenomeno sempre più drammatico dei giovani in fuga da un Mezzogiorno abbandonato a se stesso sembra essere entrato, invece, solo nell’agenda del mondo cattolico: diocesi, parrocchie, laici ed associazioni sono in prima linea a fianco delle nuove generazioni sin qui costrette ad emigrare, dopo aver avvertito sulla propria pelle la profondità di un terremoto silenzioso che ha scosso e continua a scuotere le fondamenta della società meridionale. Eppure quanti, nell’opinione pubblica borghese e benpensante, hanno rilanciato e riflettuto sul grido di dolore del Sud, dopo l’immagine di Corrado Lorefice e Michele Pennisi, i due arcivescovi con la valigia immortalati in corteo insieme al loro popolo? Nessuno, forse perché il Mezzogiorno resta solo un grande serbatoio di voti e poco altro, per la politica sovranista.
Il Partito dei Veneti e il Nord alla finestra
Un po’ in sordina, lo scorso 19 ottobre, è stato lanciato al PalaGeox di Padova il Partito dei Veneti. Parola d’ordine 'autogoverno', obiettivo dichiarato dai 1.500 delegati la vera indipendenza dal resto d’Italia, modello indicato la Catalogna. E la Lega? Considerata alla stregua di un carrozzone centralista, tanto da invitare il governatore Luca Zaia ad «avere coraggio» e a intestarsi, senza la compagnia dei detestati vicini 'lombardi', la campagna per dire addio a Roma. Non è una novità per una terra che ha dato i natali alla Liga Veneta a fine anni Settanta, ben prima dell’avvento di Umberto Bossi in Parlamento e al governo, e che negli anni Novanta ha visto riaffiorare la nostalgia per la Serenissima Repubblica di Venezia con il blitz del tanko in Piazza San Marco. Corsi e ricorsi storici che non hanno mai perso d’attualità. Il punto è l’effetto che questo sta avendo sul resto del Nord, sempre più diviso tra chi insegue, da posizioni certamente maggioritarie nel Nord Est, soluzioni nette e radicali per non scoprire il fianco ai nuovi secessionisti (è il caso del Veneto, capofila della querelle col governo, e molto più timidamente della Lombardia dove l’afflato autonomista è sempre stato più basso) e chi chiede governabilità, aprendo vie negoziali col governo, sull’autonomia e non solo.
Decisiva, come sempre, sarà la spinta delle medie imprese, poco inclini per indole a seguire scenari rivoluzionari e assai più attente al merito dei provvedimenti. Da questo punto di vista, il piano messo a punto dal ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, è un test serio per i governatori settentrionali che, non a caso, hanno già parlato di «testo non sottoscrivibile». Nei due articoli contenuti nella bozza di legge quadro, infatti, si parla di 'obiettivi di servizio uniformi su tutto il territorio nazionale' così come di 'perequazione infrastrutturale', mentre nel documento consegnato dalla Regione Veneto all’esecutivo si insiste sul principio della 'leale collaborazione' tra le istituzioni, sul trasferimento di 'beni e risorse finanziarie, umane e strumentali', oltreché sulla ' contestuale soppressione' o sul ' ridimensionamento dell’amministrazione statale periferica'. Linguaggi diversi. Di più: linguaggi agli antipodi, che fotografano un’impossibile sintesi.
A ottobre è stato lanciato a Padova il Partito dei Veneti. Parola d’ordine: "autogoverno". Obiettivo: l’indipendenza sul modello Catalogna. A Napoli de Magistris rilancia con referendum e criptomoneta
Resta, infine, un ultimo aspetto della questione settentrionale sin qui sottovalutato: il rapporto con le grandi città metropolitane. È stato il sindaco di Mila- no, Giuseppe Sala, a evocare più poteri e più libertà d’azione per la metropoli, facendo capire di ritenere il capitolo relativo all’autonomia come un tema ormai vecchio e superato dagli eventi. A sorpresa, a rispondergli mesi dopo è stato il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, che ha parlato del capoluogo lombardo come «città che non restituisce quasi più nulla di quello che attrae». La polemica si è chiusa nel giro di ventiquattr’ore, ma il tema è rimasto sul tavolo e riguarda innanzitutto il Mezzogiorno: come immaginare, in futuro, una riforma delle competenze degli enti locali che permetta al Sud, in spirito di vera sussidiarietà, di tornare a correre dopo decenni di immobilismo?
Il ritardo del Mezzogiorno
In un recente convegno svoltosi presso la sede milanese della Banca d’Italia, l’immagine di un Paese a due velocità è emersa plasticamente, dati alla mano. Dal 2007 al 2018, secondo l’istituto, il Prodotto interno lordo delle Regioni meridionali ha subito una contrazione di circa dieci punti percentuali, mentre nel Centro Nord il calo è stato di meno di tre punti. Al centro dell’attenzione degli analisti rimane il nuovo allargamento della forbice Nord-Sud che potrebbe avere serie ripercussioni in campo socio-politico, condizionando i risultati della più o meno prossima competizione elettorale. Non è un mistero che buona parte degli addetti ai lavori, dalla grande impresa ai sindacati, considerino il piano sull’autonomia differenziata voluto da Lombardia e Veneto come un favore alle Regioni ricche.
La reazione di alcuni sindaci come Luigi de Magistris, di Napoli, sembra essere speculare a quella della Lega salviniana. Chiedete autonomia? E noi indiremo un referendum per fine anno, ha detto de Magistris, per avere «più risorse, meno vincoli» e, se serve, addirittura una criptomoneta. È il ritorno del vento sovranista che soffia in tutte le direzioni e non risparmia nessuno, a destra come a sinistra. Un vento così forte che rischia però di chiudere porte, anziché spalancarle, cambiando per sempre quel sentimento di unità nazionale mai messo in discussione neppure negli anni della devolution.