Enrico Berardo
Dalle sue parole, caro Berardo, traspare chiaramente la coscienza cristiana di una persona conquistata dal Vangelo, che legge i fatti alla luce di Cristo. Ci inorgoglisce che "Avvenire" le risulti uno strumento utile a coltivare un approccio culturale alla realtà, alla vita, alla cronaca, secondo un’intelligenza di fede. I lettori come lei – che non temono di interrogare se stessi e gli altri sulle domande più capitali, cercandovi una risposta vera, profonda – sono il nostro più prezioso e insostituibile capitale, sono la risorsa a cui affidare la speranza d’una testimonianza che apra il cuore dell’uomo di oggi, richiamandolo alla gravità delle cose ultime. Dove per «cose ultime» non intendo (solo) quelle inerenti la cosiddetta fine del mondo e della storia, ma quelle circostanze esistenziali che ci rivelano senza appello la nostra costitutiva dipendenza, la nostra fragilità personale e collettiva, stupendamente richiamataci dall’antico «Rorate», una delle più belle melodie di questo tempo liturgico d’Avvento. Fra queste circostanze ultimative ci sono, in primissima fila, la malattia e la prospettiva dell’infermità, che oggi spaventano forse più della morte stessa, come anche lei ha potuto appurare parlando con la gente. Molti, fra gli stessi credenti, non sfuggono a una certa mentalità corrente riguardante il fine vita, secondo la quale una condizione qual è – per esempio – quella di Eluana non merita d’essere protratta, non essendo riconoscibile come «vita». Molti sembrano non comprendere, purtroppo, la lezione più profonda e terribile del caso Englaro e dei moltissimi (ma meno noti) episodi simili: nulla ci appartiene, neppure il nostro corpo, ma tutto ci viene affidato secondo modalità che possono, talora, risultare misteriose, dure. La sofferenza del malato senza apparente via d’uscita, della medicina impotente, dei familiari in pena, è appunto una di queste modalità, che mette a dura prova la ragione e le ragioni solamente umane. Ma il Natale giunge anche per Eluana e per coloro come lei, che potremmo definire «diversamente vivi». Confidiamo che le persone coinvolte in queste tragedie trovino un aiuto concreto nella carità vissuta dei fratelli, carità che è solo un pallido riflesso dell’amore con cui Dio guarda anche agli esseri «inutili». Uno sguardo che deve divenire il nostro.