Gentile direttore,
lo scorso primo luglio mi ha riservato la gentilezza di pubblicare la lettera in cui denunciavo ciò che accadeva alla mia cara moglie: in cura, per un adenocarcinoma del polmone, presso l’ospedale Sant’Andrea di Roma si era vista prescrivere un farmaco "salvavita", a detta del primario, e che tuttavia né il nosocomio, né l’Asl di competenza le avevano poi dispensato, perché off-label (cioè non conforme alle attuali autorizzazioni tecniche ministeriali ndr). Ancora non trovo le parole per ringraziare lei, e il suo giornale, per l’attenzione che ci avete riservato e per le parole di solidarietà nel commento a quella lettera. È infatti con la più grande gioia e soddisfazione che le comunico che il Tribunale di Civitavecchia ha emesso una sentenza atta ad assicurare la tutela del diritto alla salute e alla vita di mia moglie: è stata così disposta la somministrazione del farmaco, con spese a carico del Servizio sanitario nazionale. Incontrare, nel momento del bisogno, persone come voi (la giornalista Viviana Daloiso, che mi ha pazientemente ascoltato anche in qualche farneticazione, e lei, che si è preso il tempo di valutare e soppesare il mio caso) è davvero un dono del Signore. Resta il dispiacere che un cittadino e una famiglia già logorati dal dramma di una gravissima malattia – e nel mio caso dagli inclementi acciacchi della vecchiaia – debbano lottare e ricorrere a ogni mezzo lecito per veder riconosciuto un diritto che spetta loro in modo pacifico e indiscutibile. È la nostra Italia, per fortuna fatta anche di comunità attente e sensibili alle buone cause, come quella di Avvenire. Grazie ancora e ogni bene per voi tutti.
Gaetano Minasi, Ladispoli (Roma)Sento, caro signor Minasi, di dover essere io a ringraziare lei e non solo per il modo con cui dimostra di apprezzare il lavoro dei miei colleghi e mio, ma per lo stile con cui ha affrontato questa battaglia e la tenacia con cui l’ha condotta, da cittadino che chiede e ottiene giustizia con la forza delle buone ragioni. Grazie a Dio c’è stato un giudice, a Civitavecchia. Un buon giudice. E questa sentenza ha assicurato a sua moglie la cura (attraverso un assai costoso farmaco) che le era stata prescritta in una struttura sanitaria pubblica e che, per un cavillo normativo (uno dei tanti che ancora impacciano e funestano le vite di troppi italiani), la stessa Sanità le negava. Comprendo e condivido la sua amarezza per una ulteriore e sconcertante "lotta" di cui avrebbe volentieri fatto a meno. Ma sono davvero sollevato e rincuorato da questo esito, che è frutto del suo impegno, gentile amico, e che noi di "Avvenire" siamo felici di aver potuto e saputo accompagnare con il nostro sostegno morale. Sono sicuro che sollievo e speranza sono anche i sentimenti con i quali in questo momento sono accanto a sua moglie e a lei tutti gli amici lettori (parte integrante e decisiva della nostra «comunità» di lavoro e di valori, che ci aiutano in molti modi a mantenere, proprio come lei dice, «attenta e sensibile alle buone cause»). Il Signore conceda alla sua sposa e a lei tutta l’energia di cui avete bisogno in questa prova, e che gli uomini non congiurino più a farvela spendere per affrontare una sofferenza aggiuntiva. Mi permetta un fraterno abbraccio.