venerdì 14 luglio 2017
Gli investimenti di Pechino con le aziende di Atene. Un ponte con L'Asia dopo l'austerity. I dubbi di Berlino.
Adesso l'Europa ha paura della Grecia che parla cinese
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La Grecia inizia a parlare in cinese e la cosa non piace alla Cancelliera tedesca, Angela Merkel, che ha espresso il suo disappunto in un’intervista, dove ha parlato senza mezzi termini di «dipendenza di Atene da Pechino», e dichiarando che «l’Unione Europea dovrebbe relazionarsi alla Cina come un singolo blocco» e «lavorare con impegno per mantenere la sua influenza». Parole, queste, dirette soprattutto al premier greco, Alexis Tsipras, ma che suonano anche come una mano tesa al presidente francese, Emmanuel Macron, che proprio sulla protezioni delle industrie francesi (solo in seconda istanza, europee) ha puntato parte della sua campagna elettorale.

In realtà, Angela Merkel ha più di un motivo per essere preoccupata. Stando a dati ufficiali della Banca di Grecia, nel decennio 2005-2015, la Germania è stato il primo Paese a investire nell’Ellade, con oltre 12mila milioni di euro, circa il 21% del totale, seguita, a grande distanza, proprio dalla Francia, con circa 8.400 milioni di euro. Se Berlino si è concentrata soprattutto sulle infrastrutture e nelle telecomunicazioni, un esempio su tutti la presenza di Deutsche Telecom nel corrispettivo greco Ote, Parigi ha preferito l’acquisizione di banche elleniche. Scelta della quale, con l’inizio della crisi economica del Paese, ormai nove anni fa, si è dovuta amaramente pentire. Per il resto, in questo decennio, il settore in cui si sono visti i maggiori investimenti stranieri diretti è stato quello dei servizi, che ha rappresentato ben il 74% del totale.

La Germania è anche un partner commerciale importante. Nel 2016 ha importato dall’Ellade merci per 2,2 miliardi di dollari, esportandone oltre 5. Un saldo commerciale a netto vantaggio di Berlino, che adesso però vede le sue posizioni sempre più a rischio 'invasione' cinese. Atene ha riservato a Pechino un trattamento privilegiato, complice anche il crescente astio verso la Germania e la sua linea dell’austerity e i sacrifici che la popolazione ha dovuto sostenere per rimanere nell’area euro. La Cina, dal canto suo, ha visto nell’Ellade un partner prezioso per dare ancora più concretezza al progetto Obor, la One belt one road, la nuova via della Seta, il cui obiettivo è connettere 20 Paesi per mare e per terra e dove le infrastrutture giocano un ruolo fondamentale.

Deve essere per questo motivo che, nell’agosto del 2016, Cosco, il primo operatore marittimo cinese si è aggiudicato il 51% del Pireo, il porto più importante del Paese, per la modica cifra di 368,5 milioni di euro. La concessione durerà fino al 2052 e per vincere la gara di appalto, visto che era l’unico contendente approvato dall’Agenzia greca per le privatizzazioni. Lo scalo, solitamente famoso per collegare la capitale Atene alle magnifiche isole dell’Egeo, con la gestione cinese ha visto quadruplicare il traffico merci. Pechino ha anche fatto incetta di titoli di Stato ellenici e la State Grid Corporation of China, la più grande società elettrica al mondo, ha acquisito il 24% della rete elettrica greca. La sinergia con l’ex Celeste Impero, ha iniziato a crescere a partire dal 2010, quando fu firmato un memorandum da circa dieci miliardi di dollari di investimenti, focalizzati soprattutto sul programma di privatizzazioni imposto dalla troika dei creditori internazionali per salvare il Paese dalla crisi del debito. Con l’avvento al governo di Alexis Tsipras, nel 2015, hanno subito un nuovo, rapido impulso. Lo scorso maggio a Pechino ha avuto luogo il Belt and Road Forum for International Cooperation. Atene si è presentata in forze, con una numerosa delegazione guidata dal primo ministro in persona. «Durante la nostra visita – ha spiegato il viceministro all’Economia, Stergios Pitsiorlas – abbiamo incontrato compagnie attive nei settori dell’energia, delle infrastrutture, delle costruzioni, del turismo e naturalmente della finanza».

Tsipras ha firmato un piano di azione triennale e due nuovi accordi di collaborazione. Il primo è nel settore energetico, fra la greca Copelouzos e la cinese Shenhua Group, con investimenti totali per 3,38 miliardi di dollari. Il secondo vede impegnate la Forthnet e la Zte nello sviluppo della rete di fibra ottica, con un collocamento di 556 milioni di dollari. La sinergie con Pechino non hanno aiutato il premier ad arginare il calo vertiginoso di consensi del suo partito di sinistra Syriza, anzi. I sindacati hanno più volte accusato il governo greco di aver accettato accordi senza aver tenuto in considerazione cosa ne sarebbe stato degli operai. Che il premier greco sia attirato dall’est, non è una novità, soprattutto se questo si ricollega in qualche modo con l’identità comunista del suo partito. Per settimane Tsipras è stato tentato di accettare aiuti economici da Mosca, per liberarsi dal gioco dell’austerity europea, anche se ufficialmente Atene ha sempre smentito che ci fossero sul tavolo finanziamenti diretti. La scelta avrebbe decretato l’uscita ufficiale della Grecia dal club di Bruxelles e così, dopo vari tentennamenti, e probabilmente da parte di Putin una disponibilità di denaro ben lontana di quella di cui aveva bisogno l’Ellade, ha deciso di fare un passo indietro, non senza però dare nuovo impulso alle relazioni bilaterali fra i due Paesi, soprattutto per quanto riguarda il settore energetico. La Grecia, così, sta finendo per rappresentare un amico, uno dei pochi della Russia e della Cina all’interno dell’Unione Europea e della Nato. Alcuni analisti hanno anche ipotizzato che l’obiettivo, quanto mai ambizioso, di Tsipras sia proprio questo: fare dell’Ellade un anello di congiunzione fra il club di Bruxelles, Mosca e Pechino.

Intanto, lo scorso giugno, la Grecia ha posto il veto su una condanna da parte della Ue alle Nazioni Unite contro la condizione dei diritti umani nell’ex Celeste Impero. Segno che miliardi di dollari servono anche ad ammorbidire certe situazioni. Ma l’interesse cinese nei confronti del Vecchio Continente non si ferma certo alla Grecia. Pechino ha iniziato da qualche anno una campagna acquisti su larga scala, rivolta soprattutto ai Balcani, alla Romania e alla Bulgaria. L’obiettivo è sempre quello di sviluppare il progetto Obor in Paesi che hanno non hanno ancora vincoli con Bruxelles o che, come nel caso di Bulgaria e Romania, con nuove sinergie possono dare ulteriore slancio alla loro crescita economica. Con Bucarest, per esempio, sono allo studio nuove forme di collaborazione nel campo delle energie rinnovabili, mentre in Bulgaria Pechino ha preso di mira il porto di Burgaz, uno dei più importanti del Mar Nero. Un’altra motivazione da sottolineare per spiegare la crescente presenza del Dragone nei territori dell’Europa del sud-est, è il costo del lavoro basso, soprattutto nei Paesi extra Ue, che ha invogliato imprenditori cinesi a spostare la loro produzione a due passi dalle porte di ingresso dell’Unione. La Cina ha incrementato gli investimenti stranieri diretti in Albania, assicurandosi l’esplorazione di giacimenti e i diritti di produzione. In Serbia ha acquistato l’acciaieria più importante del Paese. Mosse di un gigante che va veloce, davanti al quale la sinergia Merkel-Macron potrebbe non bastare.

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