Caro direttore,
nel 1981, anno del referendum sull’aborto, ero a metà liceo e da bravo cattolico militante fui proiettato nel bel mezzo della battaglia. Mi presi parecchi insulti e perfino l’incomprensibile appellativo di “fascista”. Non ricordo bene tutto, ma mi sono rimaste bene impresse la violenza della discussione e la totale assenza di desiderio di approfondire la natura delle cose. In fondo, ciò che contava era l’urlo di chi rivendicava il diritto di poter decidere su ogni aspetto della vita umana. Oggi come allora il clima non mi sembra cambiato, la recente sentenza emessa negli Usa ha prodotto solo un nuovo rullare di tamburi, un impressionante coro mediatico che incita al pubblico linciaggio dei “medioevali retrogradi”. È uno spettacolo che fa pensare e un po’ fa paura, perché quando la ragione rinuncia alla ricerca del contatto con la realtà e si preoccupa solo di affermare la propria volontà ogni violenza è possibile. I tempi sono grami e come su altri temi che riguardano la natura umana e il significato della vita sembra che ogni tentativo di interlocuzione sia destinato solo ad aumentare la violenza della risposta. Son proprio tempi così cupi, o son io che non vedo bene?
Stefano Martinelli Imola
Sono tempi duri, caro amico, perché l’arte dell’ascolto e la pratica del confronto serrato e rispettoso non sono diventate più comuni e condivise, ma persino più osteggiate (anche se la testa e il cuore, oltre alle orecchie, a tanti di noi dicono che così si va su chine rovinose). E non stupisce, ma ferisce oggi più di ieri per quanto mi riguarda, che durezze spigolose e amare si manifestino soprattutto su certi temi fondamentali: la pace e la guerra, la vita e la morte, la libertà e l’uguaglianza di tutti – proprio tutti – gli esseri umani. E vedo asprezze da ogni parte e schieramenti anche asimmetrici: si è, magari, contro la guerra ma per l’aborto come diritto assoluto o, all’opposto, contro l’aborto ma pure contro il soccorso e l’accoglienza di persone migranti... Oppure si è per la religione laica della libertà, ma si censurano (a parole e atti) coloro che, in modo giudicato politicamente scorretto, parlano di pace e rifiutano le propagande belliche. O, ancora, si invoca con toni che non ammettono repliche giustizia per i popoli, ma si accetta (o si minimizza) lo sfruttamento lavorativo delle persone...Vero è che sui temi della vita nascente non pochi e non poche rifiutano un dialogo profondo, che tenga in conto l’esistenza della donna e madre e quella della creatura, ma anche ciò che la scienza ci ha rivelato di nuovo e di prezioso in quarant’anni di scoperte sulla vita e sulle relazioni prenatali. Anch’io non mi rassegno. Vedo anche crepe nei muri alzati, e dalle crepe la luce. Continuo perciò a sperare che sia possibile cambiare, rompere il vecchio schema, i coriacei slogan, gli ideologismi. E parlarsi, e ascoltarsi davvero e, insieme, far rimarginare le ferite. Con umiltà e reciproca chiarezza, e con rispetto della realtà. Nessun aborto è una festa, ogni aborto è dolore ed è tragedia.