Caro direttore,
AAA cercasi politica e/o politico che sia capace di... 1) capire che due milioni di migranti quasi disperati pronti a tutto pur di arrivare da noi sono una ricchezza impensabile; 2) proporre scelte politiche convincenti per cui l’Italia accoglie questi due milioni di migranti e chiede all’Unione Europea di aiutarla a sistemarli in Italia al modico prezzo di 6.000 euro all’anno per migrante per dieci anni (in caso di rifiuto l’Italia lo farebbe lo stesso, ma uscirebbe da Ue e Nato); 3) ripopolare le campagne italiane desertificate da decenni di politica industriale imbecille e imbelle con contadini capaci di lavorarla e di produrre l’agroindustriale italiano con tutta la qualità necessaria; 4) usare questa massa di nuovi cittadini “contro” gli apparati mafiosi di vario genere e tipo che prosperano in Italia; 5) liberarci di gente maleodorante come i politici xenofobi che sarebbero liberi di andarsene dove caspita vogliono e dove li vogliono; 6) farci diventare più umani. Suggerisco di inviare i curriculum vitae a Casa dei Sogni in via dei matti n. 0, Paradiso di Gesù di Nazareth.
Raffaele Ibba - Cagliari
La sua proposta-provocazione, caro professor Ibba, è anche paradossale (“importare” di colpo in Italia due milioni di persone sarebbe impossibile). Certo è cristianamente giocosa. Ed è profonda. Lei, infatti, alla sua maniera, tocca un punto centrale, che a me è particolarmente caro: le donne e gli uomini non sono mai un problema, sono una ricchezza. Sono l’unica ricchezza che conti davvero. E le donne e gli uomini che subiscono ingiustizia, che cercano pace e – come ci ricorda papa Francesco – un po’ di «felicità» non sono nemici, non sono invasori o persone che ci privano di qualcosa (il lavoro, la casa, la terra…), ma fratelli e sorelle in umanità che possono portarci in dote capacità naturali e anche affinate competenze e che sono specialmente degni della nostra solidarietà (le cui vie non sono sempre facili, e perciò non vanno imboccate spensieratamente e a occhi chiusi, ma sono sempre possibili e, spesso, ineludibili). Lo capirono bene i nostri avi accogliendo nei secoli, al sud come al centro e al nord, comunità intere di profughi che costituiscono ancora oggi parti preziose del meraviglioso e complesso mosaico dell’identità italiana. Lo hanno capito, secondo le loro ciniche logiche, negrieri e schiavisti di tutto il mondo (e anche di casa nostra) che sfruttano le persone che per forza e per violenza sono costrette a emigrare dalla propria terra d’origine. Mi chiedo, con lei, quando lo capiranno davvero tutte le persone benpensanti o, meglio, capaci di buon senso. E se qualche donna politica, se qualche uomo politico ha idee serie e concrete sul punto sarei anch’io curioso e felice di conoscerle. L’indirizzo di “Avvenire” è più raggiungibile di quello che lei, gentile professore, propone.
Martedì 28 aprile, nell’analisi che abbiamo pubblicato a pagina 3, la sociologa Zanfrini ha splendidamente ragionato sull’insufficienza dei recinti nazionali a contenere non solo gli esseri umani – perseguitati e no – ma soprattutto il sentimento di giustizia e l’ansia di futuro buono che lievita, nonostante violenze e sopraffazioni di diversi tipi, nella società globale. Credo anch’io che questa consapevolezza debba crescere e ispirare politiche utili e contagiose, debba dare stabilità e forza a princìpi morali e a norme condivise e universalmente rispettate, debba ricostruire, custodire e diffondere quell’alfabeto comune dell’umano che oggi, come ha segnalato più volte il cardinale Bagnasco, appare arrogantemente intaccato e, dunque, impoverito. Credo anch’io che questo compito riguardi ogni uomo e ogni donna dallo guardo libero e profondo, e in modo speciale ogni cattolico. Chi se non noi , figli e fratelli nella Chiesa universale, – e se non adesso, in questo cruciale tempo di passaggio – dovrebbe essere capace di pensare e vivere la nostra comunità, l’umanità e l’intero mondo con la stessa chiarezza, la stessa passione, la stessa apertura, la stessa fedeltà e la stessa unità? Anch’io insomma penso che, proprio sulla complicata frontiera dell’integrazione e valorizzazione degli immigrati, sarebbe bello, giusto e lungimirante se l’Italia – credendo in se stessa, invece di continuare a deprimersi tra pigrizie, sospetti, paure, ignoranza delle radici e della sua stessa anima – sapesse farsi speciale ed esemplare “laboratorio” all’interno di quel già straordinario laboratorio di integrazione delle differenze che, nonostante errori e ritornanti miopie, è l’Unione Europea.