Caro direttore,
come ben sai, questa guerra atroce non si sta combattendo solo sulle terre d’Ucraina. La rete ormai è diventata un campo di battaglia, dove non volano missili o proiettili, ma notizie false, opinioni distorte, fino agli insulti più volgari e umilianti e minacce che molto spesso si allargano anche alle famiglie dei diretti interessati. Ad amplificare il tutto, c’è il fatto che Internet è il luogo dell’anonimato per eccellenza e che troppo spesso i social network, per come vengono gestiti, incoraggiano queste manifestazioni, con meccanismi di controllo insufficienti. Dramma nel dramma, da anni la Rete è diventata il terreno prediletto di una guerra parallela, quella della disinformazione. Una strategia portata avanti attraverso fake news, tentativi di screditare l’avversario, violenza verbale gratuita. Molto spesso si organizza una vera e propria macchina del fango. Si parte da un tweet estrapolandolo dal suo contesto, lo si commenta in maniera capziosa, senza aver mai letto o sapere nulla di chi lo ha scritto. Si tirano fuori contributi che risalgono a molti anni prima, ignorando il fatto che chi li ha scritti ha ammesso di essere stato, allora, a sua volta vittima di disinformazione. Oppure si crea un contributo falso ex novo, facendolo ritwittare da centinaia di utenti nel giro di pochi secondi, perché diventi virale. A volte si tratta di ”semplici polemisti”, che fanno dell’attacco personale e della creazione di macchine del fango un’abitudine regolare. Non si rendono conto di quanto questo sia pericoloso per tutti. Perché a fianco di queste persone ”ingenue e spontanee” ci sono dei veri professionisti della disinformazione, vere e proprie “brigate del web”, spesso pagate per diffondere odio e vedute distorte e che fanno delle polemiche che nascono sulla rete, un terreno fertile in cui proliferare. Questo fenomeno, ha un nome ben preciso: è una parte della guerra non lineare. L’ho studiata per molto tempo, nelle ultime 72 ore l’ho provata sulla mia pelle. Un mio tweet, tra i tanti, forse percepito come “di parte”, è stato rilanciato con malizia. E poi altri sono stati creati del tutto falsi per screditarmi. Coinvolgendo, ed è la cosa che più mi dispiace, anche “Avvenire”, al quale collaboro da anni. Chi è un professionista dell'informazione deve sicuramente usare i social nel modo più saggio possibile, tenendo conto delle sensibilità di tutti. Ma quando le parti sono fortemente polarizzate ci sarà sempre qualcuno pronto a forzare le interpretazioni e a spargere veleni. Anche questi sono i frutti della guerra.
Marta Ottaviani
Sai che stimo molto il tuo lavoro, cara Marta, e dunque prendo atto di ciò che mi scrivi. Da tempo non mi stupisco più di manipolazioni ed errori, ma conservo intatta la capacità di giudizio e anche d’indignazione mentre sento il dovere di non commettere mai manipolazioni e di evitare per quanto umanamente possibile gli errori. Detto questo, noi cronisti non metteremo mai abbastanza cura nei nostri articoli e nel dibattito pubblico, e non per prudenza fine a sé stessa, ma per rispetto degli interlocutori (chi ci legge, ci vede e ci ascolta) e del giornale per cui scriviamo. È bene, però, che ci si renda conto che questo dovere riguarda ormai proprio tutti, chiunque impugni e usi uno smartphone, e di questi tempi più che mai come in battaglia…