Caro direttore,
nell’articolo apparso a pagina 10 del numero odierno (mercoledì 9 maggio 2018) e intitolato «Moro, l’ultimo tentativo del Papa», a firma di Maria Antonietta Calabrò e Giuseppe Fioroni, spiace leggere una serie di imprecisioni e forzature non all’altezza della vostra testata. Mi soffermo sulla più eclatante. Si scrive nell’articolo, sulla possibilità che Moro sia stato visitato da un sacerdote durante la prigionia: «Si può affermare che il lavoro della Commissione ha consentito, forse per la prima volta, di acquisire un fatto concreto in merito alla visita ricevuta dal prigioniero, già evocata – come personale riflessione – da Francesco Cossiga in più dichiarazioni. A fornire questa informazione è un brigatista coinvolto in numerosi gravi episodi [...]. L’ex brigatista ha fatto in proposito affermazioni esplicite. Risulta quindi confermato che Moro ha effettivamente ricevuto la visita di un sacerdote nel periodo della sua prigionia». Il riferimento è alla testimonianza di un brigatista in nessun modo coinvolto nel rapimento, nel sequestro o nell’uccisione di Moro. Stando alla relazione della Commissione, egli avrebbe dichiarato, forte di successivi «rapporti piuttosto intensi con Valerio Morucci», che un sacerdote avrebbe incontrato Moro nei modi esplicitati (si legga 'riportati parola per parola' dal seguito dell’articolo). Mi chiedo: come si può affermare che a oggi sia «confermato che Moro ha effettivamente ricevuto la visita di un sacerdote nel periodo della sua prigionia» sulla base di una testimonianza solitaria, indiretta, rilasciata a quasi quarant’anni di distanza dai fatti e smentita dalle testimonianze di tutti gli uomini e le donne chiamati in causa? Forse è troppo chiedere una valutazione critica delle fonti, tale da evitare il gusto giornalistico dello scoop, almeno su un tema di questo tipo? Aldo Moro non merita questo livello di approssimazione. Il fatto che l’articolo sia firmato anche dal presidente dell’ultima Commissione, infine, lascia sconcertati.
Riccardo Ferrigato
Sconcertato lo sono anch’io, gentile dottor Ferrigato. Lei scrive libri e, dunque, dovrebbe sapere che l’anticipazione di un capitolo di un libro in uscita nelle librerie non è un «articolo» di giornale, ma appunto un brano tratto da un testo assai diverso e molto più articolato e complesso. Posso capire, poi, che lei, recentissimo autore per le edizioni San Paolo di uno dei tanti libri proposti in occasione del quarantesimo anniversario del rapimento di Aldo Moro e dell’assassinio dello statista e degli uomini della sua scorta, intenda polemizzare con altri che si sono impegnati in fatica analoga senza neppure citare il loro libro, ma non posso accettare il tono con cui trincia giudizi e sentenzia sulla qualità del lavoro nel giornale che dirigo. Mi dicono che lei è un serio ricercatore. Ebbene le consiglio di essere serio, e dunque non superficiale, anche nella polemica, se proprio intende farla. Certo, abbiamo scelto – anzi, io personalmente ho scelto – di pubblicare un piccolo stralcio di un libro ('Moro. Il caso non è chiuso. La verità non detta', Lindau) che verrà presentato oggi pomeriggio alle 17 al Salone del libro di Torino e che è di specialissimo interesse proprio perché scritto – a quattro mani con una giornalista di vaglia come Maria Antonietta Calabrò, già firma del 'Corriere della Sera' – da Giuseppe Fioroni, cioè da colui che ha presieduto la Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro che ha concluso i suoi lavori presentando alla Camera, nello scorso dicembre, una tanto scomoda quanto fondamentale Relazione dopo mesi e mesi di attività lontano da riflettori e grancasse. Non vedo nulla di sconcertante in questo, tutt’altro. Così cone non mi scandalizza che lei ritenga di avere elementi per arrivare a conclusioni diverse da quelle della Commissione d’inchiesta e del suo presidente. Ma proprio non capisco che cosa centri il «gusto giornalistico per lo scoop» con i risultati del lavoro di un Organismo parlamentare dotato di poteri d’indagine e di accesso diretto alle fonti di cui nessun cronista e nessun ricercatore dispone. Ho stima preventiva, fino a prova contraria, per il lavoro di tutti, quindi anche per il suo che non conosco a fondo e proprio per questo non mi permetto di giudicare. Penso che anche lei farebbe bene a misurare le parole. Detto questo, auguro successo pure al suo libro ('Non doveva morire. Come Paolo VI cercò di salvare Aldo Moro'), di cui venerdì scorso abbiamo segnalato l’ingresso in classifica tra quelli che chiamiamo i 'best seller della fede'. Un’ultima nota, di stile. Le avrei risposto privatamente, come faccio ogni tanto con quanti mi scrivono, evitando di segnalare qui il grave errore di comprensione e di valutazione in cui lei è incorso. Ma poiché ha deciso di pubblicare la lettera a me diretta anche sul web come se fosse una 'lettera aperta', ho dovuto replicarle pubblicamente. Sarò un sognatore, e però penso davvero che se mai impareremo di nuovo tutti a tener in debito conto il buon vecchio galateo (anche epistolare, e persino digitale), avremo fatto un passo avanti verso un futuro un po’ più pieno di rispetto per i fatti e per le persone.