Non le domeranno. Non sono riusciti in quattordici anni. Il loro paese le ha messe al bando, come pure la loro stessa famiglia, perché hanno denunciato la mafia. «Siamo andate dai carabinieri, siamo diventate un disonore». Irene, Anna e Gioacchina Napoli gestiscono un’azienda agricola di novanta ettari a Mezzojuso, paese della provincia palermitana, per anni feudo di Bernardo Provenzano, non lontano da Bagheria e da Corleone.
Il 5 gennaio 2006 muore loro padre, con il quale gestivano l’azienda che è di famiglia «fin dai nostri nonni». Da quel momento diventano preda – credono i clan – facile: «Siete quattro fimmine sole», dicono loro con disprezzo. E da quel momento la mafia vuole acquistare per pochi spiccioli quei terreni coltivati a grano e fieno. Le tre sorelle insieme alla madre rifiutano e da allora cosa nostra minaccia, fa distruggere i raccolti, spaccare recinzioni, uccidere i loro cani, ritrovati scuoiati e con la testa dentro un secchio pieno di sangue. Tutto questo le fa vivere con grandi problemi economici, le banche nemmeno concedono loro prestiti o finanziamenti, «ma non importa».
Dopo otto anni di silenzio e paura, nel 2014 Irene, Anna e Gioacchina hanno deciso di ribellarsi e presentato finora trentotto denunce, tutte archiviate. Al loro fianco restano quasi solo i carabinieri, «loro sono la nostra famiglia, ci hanno aiutate anche nei momenti di disperazione, che ci sono…». Ma hanno appena ricevuto il “Premio nazionale Antonino Caponnetto” e forse qualcosa potrà cambiare…
«Non molleremo mai e non ce ne andremo dalla Sicilia», dicono. «Non la daremo vinta alla mafia».
Indomite, tre sorelle e la loro madre gestiscono un'azienda agricola a Mezzojuso (paesino nel palermitano, a lungo feudo di Bernardo Provenzano). Nel 2006 muore il padre, la mafia vuole quei terreni
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