Panni stesi. Lì da quasi quattro anni e mezzo, un balcone d’una casa a Sommati, frazione di Amatrice. Raccontano come, a lungo, vadano le cose dopo un terremoto devastante e assassino. Raccontano anche tristezza. Abbandono. Solitudine. Nella cittadina spazzata via dal sisma del 24 agosto 2016 s’incontrano gru e ponteggi, hanno cominciato a lavorare anche alle fondamenta del nuovo ospedale, ma - ancora - macerie nel centro storico.
S’intravede a illuminare il futuro qualche luce, fioca, assai lontana, mentre chi può, va via. Mentre, camminando, restano pavimenti squarciati di case dove le persone morirono. Restano quei grandi “muri”, che non fanno guardare oltre, lungo la strada che attraversa proprio il centro storico, che si può percorrere solo in macchina, incontrando sulla sinistra e sulla destra altre macerie, un paio di palazzine lesionate e puntellate, la torre, simbolo di Amatrice, che nessuna scossa ha tirato giù (e qui spiegano perché ha fondamenta profonde quanto la sua altezza).
Al calare del sole, poi, la tristezza si fa cupa, come la solitudine. Freddo, più nessuno in giro. Solo fari di auto, qualche movimento intorno ai piccoli centri commerciali, nient’altro. Le casette (le “Sae-soluzioni abitative d’emergenza”), nei piccoli villaggi sparsi da queste parti, ricordano però che c’è vita e va avanti, che ci sono bimbi, donne, famiglie, anziani. Casette illuminate, quasi sempre curate anche all’esterno, qualche spruzzo di neve avanzata da due settimane a lambirle. Magari graziose. Ma troppo piccole e provvisorie per metterci dentro tutto il passato e il futuro.
Uscendo dalla cittadina, raggiungendo le sue frazioni, il paesaggio è altro. Spesso buio. Desolato, desolante. Molte macerie sono state rimosse, almeno altrettante restano. E restano ancora abitazioni spaccate a metà, un letto matrimoniale a penzoloni da una stanza del secondo mano che non ha più due pareti ed è inclinata sul vuoto. Restano case con porte e finestre spaccatesi, saltate, e dentro tutto rimane come quella notte di fine agosto 2016, però tutto rovinato da vento e pioggia e animali. Come pure qualche cimitero, dove non si può entrare, perché le cappelle rimangono pericolanti. Una Croce di pietra s’è staccata da chissà dove ed è poggiata a terra: come quei panni, quasi quattro anni e mezzo dopo.