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Nella matrioska del conflitto si combattono molte battaglie. C’è la guerra del fiume Dnepr. C’è la guerra tra il mare e la terraferma. C’è la guerra dei sabotatori anti-Putin. E c’è la guerra di Viktor, che a 90 anni sta dritto nella sua casa distrutta a Odessa, e parla come chi conosce l’orrore delle battaglie e come sono fatti gli uomini del disonore.
È Viktor a parlarci della controffensiva e della speranza che accada di nuovo quello che è successo con Kiev, con Mykolaiv, con Kherson, con i distretti del Nord al confine russo e con la regione di Zaporizhzhia date per irrimediabilmente perdute e invece riconquistate. Per una Bakhmut persa (ma non ancora abbandonata dalla fanteria ucraina) ci sono decine di città e villaggi tornati sotto la bandiera di Kiev attraverso quelle operazioni che l’intelligence inglese, finora la meno inaffidabile per i giornalisti, ha quasi sempre preannunciato parlando di reazione “a macchia di leopardo”.
Vuol dire non riuscire a controllare tutto il territorio ma solo alcuni lotti, ma vuol dire anche isolare “a macchia” la presenza delle forze occupanti che per non restare circondate cedono posizioni. Il ministero della Difesa britannico con la consueta nota degli 007 ha sostenuto che l’Ucraina ha condotto operazioni significative in diverse zone orientali e meridionali del Paese, anche se nei primi cinque giorni avrebbero riguadagnato meno di 2 chilometri. Il generale ucraino Valerii Zaluzhny, l’uomo che difese Kiev e ha trasformato la “guerra lampo” di Putin in un conflitto che sul campo Mosca non riesce a chiudere, continua ad essere poco loquace, memore della lenta avanzata da Mykolaiv a Kherson che dopo conquiste apparentemente poco significative vide poi franare le prime linee russe in pochi giorni.
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Il vecchio Viktor, spirito da cosacco e sguardo da nonno, sa cos’è la guerra, la dittatura, e quali armi i regimi utilizzano mandando avanti i disgraziati. In Russia hanno appena abrogato le esenzioni al combattimento anche per i 65enni, che potranno essere gettati in pasto all’artiglieria. Come ai tempi dell’anziano odessita rimasto senza neanche più la porta del bagno, volata via con l’onda d’urto. E come a quel tempo, contro gli ucraini che non vogliono soccombere le trappole di filo spinato e i terreni minati dai russi non stanno funzionano da deterrente. E allora il Cremlino ricorre a minacce neanche velate di guerra chimica. Se l’abbattimento della diga di Kherson resta ancora un mistero – con molti indizi nella direzione degli occupanti – il genio guastatori dell’esercito russo, dopo aver usato la minaccia nucleare impadronendosi dell’impianto a sette reattori di Zaporizhia, temendo una nuova avanzata delle forze ucraine ha imbottito di esplosivi il gigantesco impianto chimico industriale “Crimea Titan”, nella penisola annessa da Mosca unilateralmente nel 2014. Per Oleksandr Prokudin, comandante militare regionale di Kherson, i piani russi per far esplodere l’impianto sono ben avanzati e se la deflagrazione avverrà «migliaia di tonnellate di materiali tossici verrebbero rilasciati». Tuttavia, in questo caso, verrebbe messa a rischio la vita degli abitanti della Crimea, che a partire dal 2014 ha visto aumentare la presenza dei filorussi, e in pericolo ci sarebbero anche le vicine coste russe e il Mar d’Azov, il cui controllo Mosca rivendica come una delle principali conquiste militari della guerra di aggressione. Lo stabilimento chimico è uno dei maggiori produttori al mondo di biossido di titanio, il cui utilizzo è vietato nella Ue dallo scorso anno.
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La notte tra venerdì è sabato è stata tra le peggiori vissute da Odessa, la città portuale che si affaccia sul Mar Nero è che è stata bersagliata da una serie di attacchi che hanno impegnato le difese ucraine per circa sei ore. Il bilancio è di 3 civili morti e 27 civili feriti. Le autorità parlano di 2 missili e 8 droni intercettati. In uno dei quartieri popolari di Odessa un gigantesco cratere largo sei metri e profondo tre racconta meglio di ogni dichiarazione ufficiale la potenza distruttiva utilizzata. Secondo il comando militare del Sud, Mosca ha dato l’ordine di bersagliare infrastrutture militari e civili in tutta la regione di Odessa. L’attacco contro la “Perla del Mar Nero” viene interpretato come un sinistro messaggio dopo il lancio della controffensiva ucraina nel Donbass. Al largo restano appostate una mezza dozzina di navi lanciamissili russe che non hanno ancora esaurito il loro carico di razzi.
Viktor Petrovic, il novantenne sopravvissuto al genocidio per fame ordinato da Stalin negli anni ‘30, ci accoglie nella al nono piano di uno dei palazzi colpiti dalle esplosioni. «Alla mia età non posso vedere queste cose», dice mentre mostra l’appartamento completamente distrutto. «Non meritavo di subire questo», aggiunge mentre ci stringe la mano in una morsa possente: «Putin perderà. Se fa questo a un vecchio, Putin ha già perso».