Un senzatetto alla periferia di Tokyo - Ansa
«Non pensavo che morisse... le avevo lasciato da mangiare, alcuni biberon... i suoi giochini vicini... l’avevo persino legata al divanetto, per evitare che andasse in giro a farsi male...». Dicono che quando sono arrivati a casa di Saki Kakehashi, 23 anni, una ragazza madre residente a Kamata, un quartiere popolare di Tokyo, gli assistenti sociali l’abbiano trovata più sorpresa che disperata. E così parrebbero confermare i primi verbali della polizia che, dopo averla a lunga interrogata, l’ha accompagnata in una struttura protetta. La stessa, pare, dove aveva vissuto per quasi dieci anni, dopo essere stata tolta alla madre, che la picchiava e torturava.
A 8 anni pare fosse stata appesa per ore ad una corda, in casa, e a lungo abusata dalla madre e dal suo compagno. Saki no, voleva bene alla piccola Noa, 3 anni, avuta da un ragazzo che l’aveva anche sposata, ma che poi appena nata la bambina è scappato. Da un giorno all’altro ha fatto johatsu, è «evaporato», come poeticamente chiamano i giapponesi il fenomeno di oltre 20mila persone che ogni anno svaniscono nel nulla. Se aggiungiamo il numero dei suicidi (circa 20mila l’anno, calati di recente, ma pur sempre altissimo) e del recente, sempre più diffuso, fenomeno del kudokushi, (morte in solitudine), le persone, soprattutto anziane ma non solo, che si lasciano morire di fame in casa, da sole o in coppia, pur di non recare “disturbo” a eventuali parenti, vicini e persino istituzioni, ed i cui cadaveri vengono scoperti solo perché i vicini sentono odori sempre più insopportabili, sono oltre 50mila, 130 al giorno, 5 ogni ora. Particolarmente inquietante anche il dato degli abusi sui minori, che come i casi di violenza domestica tendono oggi ad emergere più spesso in superficie. Secondo dati della polizia, mentre nel 2009, le violenze sui bimbi denunciate erano poco più di 200, nel 2019 sono salite a 1.960. I bambini morti a seguito di abusi più o meno dolosi, nel 2019, sono stati 54.
E tuttavia i vicini ricordano Saki madre affettuosa, che portava spesso a passeggio la piccola Noa («fiore raro»), a fare la spesa, sempre allegra e sorridente. È vero, quando andava a lavorare la lasciava sola per parecchie ore, con la tv accesa, un paio di biberon e qualche giochino per terra. Ma pare sia una cosa molto diffusa, in Giappone, dove i servizi sociali ci sono ma non sono molto accessibili, e dove la gente, per tradizione, preferisce arrangiarsi, piuttosto che chiedere aiuto. Ma non è facile per una ragazza madre gestire una situazione del genere. Non lo è ovunque. Men che meno in Giappone. Saki non aveva più alcun contatto con i suoi genitori, né con il padre della bambina. Ed evidentemente, e questa è forse la cosa più grave e triste dell’attuale contesto sociale, nessuno amico/a cui chiedere aiuto. Così, quando è spuntata la possibilità di una nuova storia – sbocciata in rete – Saki non ci ha pensato due volte. Ha “sistemato” la piccola Noa al meglio, ha chiuso la porta di casa ed è volata a mille chilometri di distanza, a Kagoshima, per andare a conoscere il suo nuovo ragazzo. Il suo sogno nell’oceano di incubi che ha accompagnato la sua sua vita.
È tornata dopo una settimana, trovando la figlia ovviamente morta, completamente disidratata. Le ha cambiato il pannolino, ha pulito un po’ per terra, aperto le finestre per cambiare aria. E ha chiamato gli assistenti sociali del Comune. «Penso che mia figlia sia morta. Non respira. Forse è colpa mia. L’ho lasciata sola per qualche giorno». Una settimana.
«L’ultima cosa che dobbiamo fare adesso è prendercela con lei – tuona dal suo blog Naoki Goi, docente di psicologia dell’età evolutiva e noto social educator – questo non è solo un tragico caso di negligenza da parte della madre, ma soprattutto di assenza delle istituzioni, di desertificazione sociale». E prosegue: «Un nostro vecchio proverbio dice che crescere un bambino è una cosa naturale, ma che serve un “villaggio”, per farlo. Bene, il villaggio non c’è più».
“Fiore raro”, era nota alle autorità locali. Il suo caso era registrato tra quelli da tenere sotto controllo, con telefonate e visite. L’ultima volta che gli assistenti sociali hanno chiamato la madre, tuttavia, à stato lo scorso maggio. Saki, per paura che volessero portarle via la bambina, non ha risposto. Ed è finita lì.