Il leone Cecil, simbolo protetto della natura dello Zimbabwe abbattuto. Nessuno pagherà
Nessun colpevole per l'uccisione del leone Cecil. Dopo il dentista di Minneapolis, l'americano che nel luglio 2015 spese 55mila dollari per una battuta di caccia grossa in Zimbabwe, conclusasi con la morte dell'animale simbolo del parco nazionale Hwange, ora il tribunale assolve anche il cacciatore locale che lo accompagnò, scagionandolo dall'accusa di bracconaggio.
Il 55enne Walter Palmer, la cui foto con il trofeo di caccia fece il giro del web, era provvisto di un regolare permesso. Né poteva sapere che quel leone era un animale protetto, dotato persino di un radiocollare. Così decretò il tribunale locale, dirottando ogni accusa su Theo Bronkhorst, il cittadino dello Zimbabwe che lo assisteva nella battuta di caccia. L’avvocato di Bronkhorst ha presentato ricorso all’Alta Corte di Bulawayo, seconda città del Paese, obiettando che non poteva esserci infrazione alla normativa sulla protezione della fauna selvatica dal momento che Palmer aveva tutti i permessi in regola.
E ora fa sapere che la Corte si è detta pronta a sollevare il suo assistito da ogni accusa. “A questo punto non credo che lo Stato tornerà ad accusarlo dello stesso crimine” ha aggiunto l’avvocato Lovemore Muvhiringi, ritenendo la vicenda giunta a conclusione.
Nell'estate 2015 l’uccisione del leone Cecil suscitò scalpore, e non solo tra gli animalisti. Cecil, leone maschio di 13 anni, una celebrità nazionale, fu molto probabilmente attirato fuori dai confini del parco con un’esca per poi essere trafitto da una freccia e colpito a morte, decine di ore dopo, dal fucile di Palmer.
Contro il cacciatore americano ci fu una vera e propria sollevazione. Fu dipinto, dai meno feroci, come il ricco spaccone che in un Paese povero e corrotto aggira bellamente le leggi finendo per svilire a souvenir da salotto un’icona della selvaggia bellezza africana.Ora la decisione del tribunale riporta alla luce la vicenda. Senza offrire speranze ai difensori dei leoni e della legalità. In alcuni casi la legge ammette l'ignoranza.