L’esportazione di «mogli» copre anche un vero e proprio sfruttamento, spesso finalizzato alla prostituzione Nella rete le ragazze della minoranza, meno tutelate delle islamiche: 39 trafficanti arrestati in pochi giorni Giovani cristiane in preghiera a Multan, nel Punjab pachistano / Ap
Otto cittadini cinesi e quattro pachistani sono stati arrestati nei giorni scorsi in una operazione avviata, secondo un funzionario di alto livello dell’Agenzia investigativa federale del Pakistan, «in base a notizie che segnalavano un crescente traffico di donne verso la Cina dove vengono avviate alla prostituzione ». In totale sono 39 gli arresti. Dieci giorni fa Human Rights Watch aveva chiesto al governo pachistano di attivarsi, dati gli allarmanti rapporti che segnalavo come in Pakistan si stia affermando l’esportazione di «mogli» verso la Cina a copertura di quella che, in modo simile a quanto accertato in almeno altri cinque Paesi asiatici, è vero e proprio sfruttamento, spesso finalizzato alla prostituzione. Solo lo scorso anno sono state 150 le giovani spose trasferite in Cina, al 90 per cento si è trattato di cristiane.
Segnali erano arrivati anche dall’ambasciata cinese a Islamabad riguardo apparentemente innocui servizi di incontro che coprono in realtà un traffico di esseri umani. La cooperazione con Pechino è in crescita in questo settore, ma i cinesi hanno smentito che il reclutamento sia finalizzato anche alla donazione forzata di organi. Durante le indagini sugli arrestati è stato accertato che il traffico riguarda un numero crescente di ragazze di fede cristiana, meno tutelate rispetto alle loro coetanee della maggioranza musulmana. Faisalabad, grande città del Punjab pachistano che ospita una consistente comunità di battezzati, sembra essere centrale in queste attività criminose. Qui sarebbero stati denunciati almeno 20 falsi matrimoni e la scorsa settimana l’irruzione della polizia in una chiesa protestante ha interrotto una finta cerimonia con altrettanti falsi celebranti. «I membri della banda hanno confessato di avere inviato almeno 36 giovani donne in Cina, dove sono state avviate alla prostituzione», ha confermato la fonte dell’Agenzia investigativa federale, che ha sottolineato come sia sia trattato «in maggioranza di cristiane provenienti da diversi distretti della provincia del Punjab».
Come confermato dall’agenzia AsiaNews, gli arresti sono scattati «dopo che, il Primo maggio, il cristiano Mushtaq Masih aveva denunciato che sua figlia era stata sequestrata e portata in un ristorante di Faisalabad per il matrimonio con un giovane cinese». A confermare la situazione è stata anche Mehak Bibi, una ragazza cristiana che aveva sposato un cinese alcuni mesi fa. Fuggita da Lahore è tornata a Faisalabad dalla famiglia, rifiutandosi di espatriare con il marito. Shahid Anwar, attivista cattolico intervistato da AsiaNews, ha confermato che «i casi di finti matrimoni fra cittadini cinesi e ragazze cristiane sono in crescita. I gruppi criminali prima raggirano con promesse di denaro le famiglie povere e poi usano le ragazze nell'industria del sesso, nei lavori forzati e in altre situazioni umilianti». Quello che sta emergendo in Pakistan è una delle facce di un fenomeno che va estendendosi in Asia per l’ormai cronica scarsità di donne in Cina, dovuta alla persistente selezione sessuale a cui si associa negli ultimi anni una ridotta propensione delle donne verso vincoli familiari e prole.
La necessità per i maschi cinesi di procurarsi partner sessuali ma anche mogli a scopo procreativo, utilizza così vecchi e nuovi racket estesi su più Paesi. Recentemente, il rapporto di Human Rights Watch (Hrw) Give Us a Baby and We’ll Le You Go: Trafficking of Kachin “Brides” from Myanmar to China (“Dacci un bambino e ti lasceremo andare. La tratta di «mogli kachin» dal Myanmar alla Cina”) documenta la vendita da parte dei trafficanti di donne di questa etnia (cristianizzata per un terzo), nella confinante Cina. Sopravvissute hanno testimoniato che individui di cui si fidavano, dopo avere promesso loro un impiego le hanno vendute attraverso intermediari a facoltose famiglie cinesi per somme da 3.000 a 13mila dollari. Una volta arrivate a destinazione, sono state segregate in una stanza e violentate per renderle gravide. Altre invece sono finite direttamente in bordelli clandestini. «Le autorità birmane e cinesi si voltano dall’altra parte mentre trafficanti senza scrupoli sottopongono donne e ragazze kachin a prigionia e ad abusi indescrivibili », ha denunciato Hrw.