domenica 8 dicembre 2019
La scoperta di minerali rari nella Karamoja ha attirato le aziende straniere e mina le tradizioni di un popolo legato alla pastorizia. L’impegno del Centro don Vittorio a favore dei giovani
Una donna karimojong intenta a spaccare pietra calcarea nella zona di Moroto (Gianni Cravedi)

Una donna karimojong intenta a spaccare pietra calcarea nella zona di Moroto (Gianni Cravedi) - Gianni Cravedi

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All’anno zero dello sviluppo umano, là dove una civiltà ancestrale va scomparendo per trasformarsi in qualcos’altro, centinaia di martelli si levano da mani indurite dalla miseria e dalla fatica. Tra polvere e sole, canti e sudore, è un’umanità dolente quella che si raccoglie all’ombra di qualche albero per spaccare grosse pietre senza sosta, donne e bambini soprattutto, piccole mani che diventano adulte troppo in fretta per pochi scellini. A poco a poco la pietra calcarea diventerà ghiaia da rivendere alle imprese che costruiscono strade. Un secchio mille scellini, 25 centesimi di euro.

Nella zona di Moroto un secchio di pietra calcarea viene venduto per l'equivalente di 25 centesimi di euro (Gianni Cravedi)

Nella zona di Moroto un secchio di pietra calcarea viene venduto per l'equivalente di 25 centesimi di euro (Gianni Cravedi) - Gianni Cravedi

Karamoja, ultimo lembo nordorientale di un’Uganda che è già quasi Kenya, terra dei karimojong, popolo guerriero di pastori semi-nomadi, legati da sempre alle loro mandrie bovine. Dimenticata per decenni da qualsiasi governo, da qualsiasi potere, considerata zona off limits per le frequenti violente razzie di bestiame, la Karamoja è oggi la nuova frontiera, una regione il cui sottosuolo in gran parte ancora inesplorato è diventato terreno di caccia per tante compagnie straniere. Uranio, cobalto, oro, argento, grafite, platino, sono almeno 13 i minerali rari scoperti una dozzina di anni fa in un territorio in cui le piogge limitate a pochi mesi l’anno e una situazione ambientale ostile avevano permesso solo ai karimojong di vivere, seppur assediati dalla ciclica insicurezza alimentare.

Ora che le scoperte minerarie hanno ridestato l’interesse del governo di Kampala e del suo eterno presidente Yoweri Museveni, strade d’asfalto hanno preso a tranciare la savana, gli appalti più grossi affidati a società cinesi. Per arrivare a Moroto, tra i centri più importanti della Karamoja, ancora fino a un anno fa era solo terra rossa e sobbalzi, ora è bitume liscio a pochi metri da capanne di legno e fango, da bimbi che si lavano nudi nelle pozze d’acqua, da un’umanità che si mette in cammino già dalle prime luci dell’alba. È il progresso e la ricchezza, perché quei minerali sia bene ci arrivino sicuri, nelle zone di smistamento. Monsignor Damiano Guzzetti, vescovo di Moroto, è qui da 14 anni. «Si estrae in maniera massiccia, con uno sfruttamento eccessivo della gente locale, impiegata quasi in schiavitù – sottolinea –. Il trucco è anche quello di lasciare entrare la gente liberamente in queste miniere a cielo aperto. Lì restano fino a 10 ore al giorno sotto al sole, pagati poco e a cottimo. Come diocesi stiamo cercando di sostenere la nascita di alcune cooperative, anche perché aumenti la loro consapevolezza, e puntiamo alla difesa ambientale».

Uno degli orti comunitari nel villaggio di Nadiket, nella regione ugandese della Karamoja: venduti i prodotti, una parte del ricavato andrà ad alimentare una cassa comune (Paolo M. Alfieri)

Uno degli orti comunitari nel villaggio di Nadiket, nella regione ugandese della Karamoja: venduti i prodotti, una parte del ricavato andrà ad alimentare una cassa comune (Paolo M. Alfieri) - Paolo M. Alfieri

Con un numero sempre minore di bovini a disposizione anche a causa della riduzione delle fonti d’acqua disponibili, disarmati da un governo che in 5 anni ha provveduto al sequestro di 300mila fucili per rendere la regione più sicura per le compagne straniere, investiti da una modernità che li ha colti all’improvviso senza grosse possibilità di adattamento, i karimojong sono passati d’un tratto dalla pastorizia alla miniera, dalla mucca al martello. Secondo dati governativi di due anni fa, l’86% dei giovani non è mai stato a scuola, il 60% delle donne non sa né leggere né scrivere. «All’inizio i minatori venivano pagati con alcoolici e così la diffusione di distillato illegale è diventata una vera emergenza – aggiunge monsignor Guzzetti –. La cirrosi epatica è la prima causa di morte. Le compagnie minerarie vogliono sempre più terra, ma non c’è alcun coinvolgimento delle comunità, che restano ai margini, mentre la corruzione delle autorità dilaga. I cinesi stanno prendendo tutto. Hanno anche piani per due cementifici, ma non daranno molti posti di lavoro. La gente verrà messa da parte a casa sua, non è giusto che sia depredata».

Donne intente a produrre birra di sorgo nella zona di Moroto, in Karamoja (Paolo M. Alfieri)

Donne intente a produrre birra di sorgo nella zona di Moroto, in Karamoja (Paolo M. Alfieri) - Paolo M. Alfieri

Terra prima considerata inutile ora è diventata strategica, alimentando un “land grabbing” selvaggio, un accaparramento del territorio spesso senza alcuna compensazione e che fa dei diritti umani la prima vittima. Sono 51 le compagnie che già operano nella regione, molte di più le miniere spesso “artigianali” dentro cui 20mila minatori lavorano senza alcuna protezione. Secondo il quotidiano Daily Monitor, oltre 1,49 milioni di ettari sono stati lottizzati in Karamoja per attività minerarie, che sottraggono erba dei pascoli e fonti d’acqua per uomini e bovini, ormai decimati. La cinese Sunbelt company, solo per citarne una, estrae marmo dalla zona di Rupa protetta da soldati dell’esercito ugandese.

Il centro giovani intitolato a Moroto a don Vittorio Pastori, tra i primi ad accorgersi dell’abbandono storico dei karimojong, è un punto di riferimento essenziale per la regione. Guidato da tre anni da don Sandro De Angeli, sacerdote fidei donum della diocesi di Urbino, è la base dell’Ong Africa mission cooperazione e sviluppo, che ogni giorno prova a restituire una speranza a un popolo emarginato con uno staff di 170 locali e 18 italiani. C’è lo scavo di nuovi pozzi (l’ultimo, nei giorni scorsi, ha fatto sgorgare acqua da 42 metri di profondità), c’è un centro di aggregazione frequentato da 400 ragazzi, la formazione professionale per i giovani, che imparano a saldare, a cucire, a cucinare, ci sono progetti agricoli con produzioni biologiche. C’è, soprattutto, l’obiettivo di rinsaldare l’identità di una comunità smarrita.

Una famiglia nel villaggio di Nadiket, in Karamoja (Paolo M. Alfieri)

Una famiglia nel villaggio di Nadiket, in Karamoja (Paolo M. Alfieri) - Paolo M. Alfieri

L’asilo è frequentato da oltre 200 bambini. «Per questi ultimi, in particolare, l’idea è quella di avere un luogo protetto: in diversi casi le madri sono prostitute o vendono alcool – spiega Caterina Pizzi –. Con i bimbi proviamo a svolgere attività creative, iniziamo già con lettere e numeri ancora prima che vadano alle elementari. A volte, quando non vengono, gli operatori vanno dalle famiglie a riprenderli a uno a uno. Tra l’altro qui possono fare colazione e pranzo, e non è una cosa scontata». A Kobulin, un’ora di strada da Moroto, 30 studenti tra i 15 e i 30 anni sono iscritti al programma “Nuyok”, “Nostro”, che complessivamente coinvolge un centinaio di ragazzi. «In gran parte sono “returnees”, giovani karimojong strappati dalla vita di strada nella capitale Kampala, dove al più mendicavano, quando non venivano spediti nei riformatori o finivano con il vivere in situazioni promiscue di disagio – spiega Pierangela Cantini, responsabile dei progetti educativi di Africa mission, che si occupa della formazione con Benedetta Gallana e Rossella Corrà –. Qui hanno la possibilità di imparare un mestiere, mangiare e dormire. La speranza è che alla fine abbiano un impatto anche sulla loro comunità».

Alcune delle donne che hanno frequentato il corso di cucito nel centro intitolato a don Vittorio Pastori a Moroto: nel giorno del diploma indossano gli abiti da loro confezionati (Paolo M. Alfieri)

Alcune delle donne che hanno frequentato il corso di cucito nel centro intitolato a don Vittorio Pastori a Moroto: nel giorno del diploma indossano gli abiti da loro confezionati (Paolo M. Alfieri) - Paolo M. Alfieri

È un giovedì di fine stagione delle piogge quando 25 giovani donne karimojong fanno il loro ingresso nel centro di Africa mission a Moroto. Molte hanno con sé un figlio. Per tre mesi hanno frequentato un corso di cucito, tenuto dalla volontaria Ersilia Rossi: i vestiti che indossano sono quelli creati con le loro mani. Sfilano una ad una, si guardano, sorridono. Con orgoglio ricevono il loro diploma e lo tengono stretto. Per molte sarà il primo ed unico della vita.

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