lunedì 1 luglio 2024
La Corte Suprema concede al tycoon una parziale immunità al processo che lo vede imputato per aver cercato di sovvertire i risultati delle presidenziali provocando l'assalto a Capitol Hill nel 2021
undefined

undefined - ANSA

COMMENTA E CONDIVIDI

Donald Trump arriverà alla nomination, correrà per la Casa Bianca e se verrà processato sarà solo dopo il 5 novembre. La decisione della Corte Suprema attesa oggi concede al tycoon una parziale immunità per il processo che lo vede imputato per aver cercato di sovvertire i risultati delle elezioni presidenziali provocando l'assalto a Capitol Hill il 6 gennaio 2021 «fino al perimetro più esterno del suo incarico», ma potrà essere incriminato e processato per azioni private o personali. Saranno i tribunali di grado inferiore, a stabilire quali atti sono ufficiali e quali no, una situazione che ritarderà il processo per “sovversione elettorale” contro Trump a Washington.

Ciò di cui Trump aveva bisogno era il tempo. E lo ha avuto, insieme a un’indulgenza se non plenaria, robustamente parziale e a una sentenza che in molti vedranno come irrimediabilmente pilatesca, farisaica. Un vulnus alla democrazia e al diritto.

Una sentenza, approvata con i voti favorevoli dei 6 giudici di orientamento conservatore e quelli contrari dei tre liberal, che se non farà archiviare i procedimenti federali a carico di Trump, avrà comunque l'effetto di ritardarne il ritorno sul banco degli imputati prima del voto di novembre.

La sentenza della maggioranza, firmata dal giudice capo John Roberts, prevede infatti che ora i due procedimenti a carico di Trump ritornino alle corti di grado inferiore per determinare, alla luce della decisione dei sommi giudici, per quali capi di imputazione possa essere processato e per quali no. Il più importante dei quali è quello relativo all’accusa di cospirazione per i fatti del 6 gennaio a Capitol Hill. La Corte ha ordinato al giudice Tanya Chutkan di determinare come tale immunità si applichi alle accuse secondo cui Trump avrebbe cercato illegalmente di ribaltare la sua sconfitta elettorale del 2020 a favore di Biden. Chutkan, nata in Giamaica e nominata da Barack Obama, è persona severa e poco incline all’indulgenza. Forse è l’unica che Trump davvero deve temere.

Ma come si è giunti a questa sentenza? Nel suo ricorso, Trump aveva detto che se la Corte non avesse riconosciuto la sua immunità avrebbe messo a rischio l'operato di ogni futuro presidente che avrebbe avuto d’ora in poi il timore di essere giudicato «da uno zelante procuratore» una volta lasciata la Casa Bianca. Il presidente della Corte Suprema John Roberts ha accolto questa petizione: «Consentire ai pubblici ministeri di punire retrospettivamente le azioni intraprese da un ex presidente potrebbe potenzialmente indebolire la sua capacità di svolgere il lavoro. Un presidente incline a intraprendere una linea di condotta basata sull'interesse pubblico potrebbe invece optare per un'altra, temendo che sanzioni penali possano colpirlo al momento in cui lascerà l'incarico».

Ma il dissenso all’interno della Corte Suprema è più che esplicito: «La relazione tra il presidente e le persone che serve è mutata in modo irrevocabile. Il presidente ora è un re al di sopra della legge», ha scritto Sonia Sotomayor che, insieme agli altri due giudici liberal della Corte, Elena Kagan e Ketanji Brown Jackson, ha espresso il parere contrario alla decisione della maggioranza, «che crea così una zona libera dal controllo della legge attorno al presidente: quando usa i suoi poteri ufficiali, ora sarà protetto dall'incriminazione penale. Ordina al team 6 dei Navy Seal di assassinare un suo rivale politico? È immune. Organizza un golpe militare per rimanere al potere? Immune. Accetta tangenti in cambio di una grazia? Immune, immune, immune».

Parole come pietre. Pietre d’inciampo che rendono ancora più inquietanti quelle di Donald Trump: «È una grande vittoria per la nostra Costituzione e democrazia. Sono orgoglioso di essere americano».

Prevedibile la reazione in campo democratico. «Trump – dicono per conto di Biden i dem - è stato condannato per la stessa ragione per cui è rimasto seduto a guardare mentre la folla attaccava violentemente il Campidoglio: pensa di essere al di sopra della legge ed è disposto a fare qualsiasi cosa per ottenere e mantenere il potere per se stesso». Ma dal suo punto di vista, quella di ieri è indiscutibilmente una vittoria.

Per la giustizia americana un po’ meno. E non è questione di schieramenti o di partigianeria: dietro le sentenze della Corte Suprema permane uno spiazzante non-detto. La raffica di processi indetti contro il tycoon aveva mostrato una sorta di schizofrenia della magistratura ordinaria con l’effetto di far apparire “The Donald” come vittima di una giustizia a orologeria (in entrambe le accezioni: a volte troppo precipitosa, a volte irresponsabilmente lenta) scolpendo nell’immaginario di molti americani che lo votano il sospetto che gli inquirenti avessero sparato un po’ a casaccio le loro cartucce, spaziando nelle loro incriminazioni dalla cospirazione ai pagamenti a una pornostar (per la quale Trump è già stato condannato) alla detenzione di documenti classificati a Mar-a-Lago pur di inchiodare The Donald e intralciare la sua corsa alla Casa Bianca.

Una corsa che continua. Con o senza Joe Biden. Ma quello è un problema che non riguarda Donald Trump.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: