Un sonoro no alla pratica degli uteri in affitto. Un rifiuto totale e inappellabile alla legalizzazione della gravidanza surrogata, in qualsiasi sua forma. La chiedono alla comunità internazionale decine di organizzazioni senza scopo di lucro, molte di stampo femminista, di 17 Paesi. Tutte hanno aderito al movimento con il quale il gruppo spagnolo Recav (Red Estatal contra el Alquiler de Vientres: Rete statale contro l’affitto di uteri) ha invitato l’Onu e i governi di tutto il mondo a proibire la maternità «a pagamento».
Lo sforzo comune si è concretizzato questa settimana con la presentazione, da parte di 89 organizzazioni non governative, di una petizione di moratoria all’Assemblea generale, riunita a New York per il dibattito d’apertura della sua 73esima sessione. L’iniziativa è partita da 134 donne spagnole che hanno già chiesto al loro governo di mettere fine a una pratica che, nelle loro parole, «costituisce una grave violazione dei diritti umani e della dignità delle donne e dei minori, una forma di sfruttamento riproduttivo delle donne e che converte i neonati in un oggetto di transazione contrattuale e commerciale».
In pochi giorni, alle promotrici spagnole si sono unite 28 organizzazioni francesi, altrettante argentine, 6 britanniche, 6 svedesi, 5 italiane, 3 messicane, 3 australiane e varie di Stati Uniti, India, Belgio, Germania, Olanda, Canada, Thailandia, Cambogia, Perù e Repubblica Dominicana.
Se non è il primo caso in assoluto di un appello specifico alle Nazioni Unite (dall’Italia sono partite ad esempio la richiesta uscita dal primo incontro trasversale sul tema alla Camera il 23 marzo 2017 e una raccolta di firme lanciata da Mario Adinolfi con La Croce insieme ad altre associazioni), è invece la prima volta che un gruppo così folto e globale si impegna collettivamente per far arrivare la sua voce al Palazzo di Vetro.
«Chiediamo a tutti i capi di Stato e di governo che partecipano alla 73esima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite di dichiararsi pubblicamente a favore dei diritti umani di donne e bambini e del divieto globale di affittare uteri», sostengono le organizzazioni in una dichiarazione. La mobilitazione è divenuta urgente quando Recav ha capito che l’Onu e due delle sue agenzie (il Fondo per la popolazione e l’Alto commissariato per i diritti umani) stavano cercando di «influenzare i governi di tutto il mondo, specialmente nei Paesi in via di sviluppo, a legalizzare l’affitto di uteri». Secondo Recav, infatti, le due agenzie hanno avviato contatti diretti con alcuni Stati sui quali far pressione per permettere la cosiddetta gravidanza surrogata attraverso un modello altruistico. «Siamo vigili, è un campanello d’allarme – dice a New York Alicia Miyares, portavoce della Recav –. Vogliamo che si rendano conto che non si può davvero avvicinarsi ad alcun tipo di legislazione favorevole alla maternità surrogata e che si rendono conto che il modello altruistico non esiste». Secondo le associazioni firmatarie della petizione, infatti, non può essere definita come «altruista» una pratica che richiede la firma preventiva di un contratto, la rinuncia ai diritti fondamentali e che stabilisce «compensazioni di vario genere, anche se non economiche».
Le firmatarie definiscono invece l’affitto di uteri come una pratica «meschina ed egoista» che tende a formare un sistema di «domestiche riproduttive» e converte i miinvece nori in oggetti di acquisto su richiesta. Il loro obiettivo è bloccare alla radice i tentativi di legalizzare la 'gestazione surrogata altruistica' come un eufemismo per giustificare una pratica che potrebbe portare a un nuovo traffico di donne e di bambini.
Le organizzazioni firmatarie chiedono che i governi promuovano tutte le misure necessarie per perseguire e prevenire la maternità surrogata a livello nazionale e internazionale, oltre a mettere fuori legge le agenzie, le cliniche e tutte le imprese nel settore della maternità surrogata, che la petizione, diffusa in tre lingue, denuncia come «una forma di sfruttamento riproduttivo delle donne che trasforma i neonati in un oggetto di negoziazione contrattuale e commerciale, mette a rischio l’integrità fisica e psicologica delle donne e mina il loro diritto alla filiazione e che viola il diritto dei bambini di conoscere la loro origine». La dichiarazione richiede anche il divieto esplicito di tutti gli annunci pubblicitari in questo settore.
La petizione è stata depositata, in attesa che venga esaminata dalla presidenza dell’Assemblea generale e approvata per essere discussa e, possibilmente, votata. Il movimento e la sua pressione sull’Onu ricorda la mobilitazione di decine di ong contro le armi atomiche, che è sfociata, poco più di un anno fa, nell’approvazione da parte dell’Assemblea generale di uno storico trattato che vieta lo sviluppo, la produzione, il possesso, l’impiego e persino la «minaccia d’uso» delle testate nucleari.