domenica 30 settembre 2018
Francesca Marinaro, tra i fondatori del Pd e voce italiana della campagna: la dignità delle donne non si calpesta nel nome della libertà e dei diritti civili
Marinaro: «Un terreno d'incontro. Ma qui la sinistra ha tradito»
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Non è un esercito, tutt’al più un battaglione, quello mobi-litato in Italia per la campagna internazionale per mettere al bando la maternità surrogata. Nel nostro Paese, per restare nella metafora, le truppe sono sparse, i comandanti pochi. Molti di più quelli che a rigor di logica dovrebbero esserci e invece combattono nel fronte avverso: la sinistra dei diritti civili per esempio, e quella parte del femminismo nostrano per il quale libertà e autodeterminazione, chissà perché, si declinano anche con lo sfruttamento del corpo femminile. Ed ecco che Francesca Marinaro, ex parlamentare, ex eurodeputata, da una vita militante della sinistra e tra i fondatori del Pd, oggi lavora quasi in solitaria per diffondere in Italia la nuova campagna partita dalla Spagna e approdata la scorsa settimana all’Onu.

Marinaro, quali sono le sigle italiane che aderiscono alla campagna?
Se non ora quando Libere, Se non ora quando Genova, Donne e Società, ArciLesbica, RadFem Italia, Rua Resistenza all’utero in affitto. Stiamo diffondendo il manifesto e raccogliendo le adesioni. Noi aderiamo già a una rete internazionale composta tra l’altro anche da Francia e Svezia; con questa campagna si accentua la mondialità del movimento per l’abrograzione dell’utero in affitto.

La campagna è portata avanti dalla società civile, i partiti non sono coinvolti ma in Spagna la ministra della Salute Marìa Luisa Carcedo, del Psoe, ha paragonato l’utero in affitto al traffico degli organi. Perché in Italia la sinistra su questo tema tace?
Perché è concentrata sui diritti civili, ma frammentati – ad esempio riguardanti le persone omosessuali – senza avere un quadro complessivo. Nella difficile transizione di questi anni, c’è stata una perdita degli aspetti valoriali dell’attività politica, come la difesa del corpo umano, della dignità della persona, delle donne e dei bambini.

Anche il Pd, il suo partito, latita: eppure la gestazione per altri è sfruttamento dei più ricchi sui più poveri, anzi, sulle più povere. Il mio ex partito, prego... Infatti, lei è uscita con altre due “fondatrici”, Francesca Izzo e Licia Conte, a fine luglio, quando Sergio Lo Giudice, padre di due bambini nati con la maternità surrogata, fu chiamato a guidare il dipartimento diritti civili. Nessuno vi ha richiamate?
Guardi, io ho aderito al Pci nel 1976 per tre principi che vi vedevo rappresentati: l’emigrazione (sono figlia di emigrati dalla Sicilia in Belgio), l’Europa e le donne. Se il partito chiama a difendere i diritti civili una persona che ha affittato l’utero di una donna vuol dire che come partito hai scelto da che parte stare prima ancora che se ne sia discusso al tuo interno. Questo per me è un valore non negoziabile. È perciò che ce ne siamo andati. Ma io resto una donna di sinistra e quando ci si potrà riparlare sono pronta a ritornare.

Sull’utero in affitto anche le femministe italiane sono divise. Perché?
Perché una parte ritiene che mettere a disposizione il proprio utero faccia parte della libertà e autodeterminazione femminile. Ma non c’è realmente autodeterminazione quando a essere sfruttare sono in stragrande maggioranza le donne più povere del mondo. Farebbe bene riflettere sul significato di libertà: esistono limiti, la libertà non è infinita, in nome di essa non si può mettere in questione la felicità e la salute di altre donne. Esistono convenzioni internazionali che impongono il rispetto della dignità delle donne e dei bambini, che sono costate lacrime e sangue e che adesso si pretendono di ignorare in nome della libertà.

Perché le organizzazioni che aderiscono alla campagna abrogazionista non dialogano con il mondo cattolico, contrario da sempre alla gestazione per altri?
Lo faremo, ma non è facile. Ci sono blocchi e la situazione politica complessiva non aiuta. Ma noi siamo disponibili a lavorarci.

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