giovedì 14 dicembre 2023
La rabbia e le lacrime dei delegati dell’Alleanza degli Stati insulari che rischiano di venire sommersi dagli oceani: «L’accordo, approvato senza di noi, non mette al sicuro il Pianeta dal disastro»
La Cop28 ha chiuso i battenti ieri mattina dopo la maratona negoziale

La Cop28 ha chiuso i battenti ieri mattina dopo la maratona negoziale - Reuters

COMMENTA E CONDIVIDI

«Una litania di scappatoie». È così che i 39 Paesi che compongono l’Alleanza dei piccoli Stati insulari (Aosis) hanno bollato l’accordo raggiunto alla Cop28. Una definizione che trasuda delusione. Per le nazioni che rischiano di essere inghiottite dagli oceani a causa dell’innalzamento del livello del mare il testo che la comunità internazionale ha accolto come «storico» è invece «incerto» e, in alcuni passaggi, «non equilibrato». La nota diffusa, ieri, appena dopo la chiusura dei lavori, spiega che l’intesa di Dubai rappresenta di certo un passo in avanti ma «non risolve il problema».

Interprete della frustrazione delle nazioni Aosis è stata Anne Rasmussen, capo delegazione delle Isole Samoa, intervenuta in plenaria a rovinare il clima di festa seguito al martelletto suonato sul tavolo con cui presidente della Cop28, Ahmed al-Jaber, ha dichiarato l’adozione del documento finale. Rasmussen ha preso la parola per denunciare che l’intesa è stata approvata in assenza dei «piccoli» e che, in ogni caso, l’«accordo non mette al sicuro il Pianeta dal disastro».

A preoccupare i Paesi insulari è, in particolare, l’assenza di approfondimenti sulla mitigazione degli effetti causati dal cambiamento climatico e l’idea che la transizione verso un sistema basato sulla produzione di energia pulita abbia prevalso sulla rottamazione totale e definitiva dei combustibili fossili (anche nell’industria). A loro dire, ancora, è ambiguo il riferimento all’uso dei «carburanti transitori», che spesso si riferiscono al gas, e alle tecnologie, come quelle adottate per cattura e stoccaggio del carbonio, che in assenza di linee guida ben precise «potrebbero minare gli sforzi» finora compiuti per contenere l’emergenza climatica.

L’intervento di Rasmussen ha scatenato reazioni contrarie: urla da un lato, applausi dall’altro. Qualcuno, tra i delegati delle Isole Marshall, non è riuscito a trattenere le lacrime per la delusione. Al-Jaber ha reagito con un’accigliatura perplessa immortalata dalle telecamere di tutto il mondo. Fuori dalla plenaria è però scattato l’abbraccio ai “piccoli” da parte di alcuni “grandi”. Delegati di Paesi come la Colombia a consolare i colleghi dell’Oceania. Un incoraggiamento a non rinunciare allo slancio di ambizione che caratterizza la loro battaglia. Altra nota dolente dell’intesa è quella dedicata ai finanziamenti promessi ai Paesi in via di sviluppo.

Un capitolo a sé stante, intitolato «obiettivo globale sull’adattamento», che la comunità internazionale si è impegnata a portare al centro della Cop29 di Baku. Ha fatto discutere l’annacquamento del linguaggio adottato a descrivere i termini della partita. Nelle versioni del testo circolate nei giorni scorsi ai Paesi ricchi veniva chiesto di fornire, a lungo termine, finanziamenti e tecnologia aggiuntivi per le nazioni povere che subiscono le conseguenze dell’inquinamento. La formula adottata nelle conclusioni di ieri ribadisce, genericamente, il «continuo e rafforzato sostegno internazionale». Secondo Meena Raman, responsabile di Third World Network, è una trovata che «diluisce gli impegni finanziari» senza cui qualsiasi obiettivo globale sul clima «rimarrà solo un sogno irrealizzabile».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: