giovedì 24 ottobre 2024
Muhannad Hadi, coordinatore umanitario dell'Onu: «Per le strade della Striscia vagano due milioni di zombie: le famiglie sono spezzate, le comunità distrutte, la società è implosa»
L'esodo dei palestinesi da Jabalia assediata

L'esodo dei palestinesi da Jabalia assediata - Reuters

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Lo stop agli aiuti umanitari nel nord di Gaza, ordinato da Israele il primo ottobre in seguito all’intensificarsi dei combattimenti, ha suscitato l’indignazione del mondo. Ci è voluta la minaccia di Washington, recapitata via lettera, di chiudere i rubinetti dei rifornimenti di armi per far fare dietrofront al governo di Benjamin Netanyahu che ora ha annunciato l’incremento dei soccorsi per la Striscia, con un flusso di 250 camion al giorno. Una buona notizia, in apparenza. «L’assistenza umanitaria per Gaza, però, non è questione di quanti convogli entrano. Ma di ciò di cui le persone hanno necessità», spiega Muhannad Hadi, coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per Gaza e Cisgiordania. Da quando è stato nominato, lo scorso aprile, è stato diverse volte nella Striscia. «La prima, una settimana dopo essere arrivato, ho fatto l’errore di chiedere al team quali fossero le priorità – spiega il coordinatore nel compound Onu di Gerusalemme -. Mi hanno riso in faccia. “Tutto è priorità a Gaza”, mi hanno risposto. Guardandomi intorno ho compreso che avevano ragione. In oltre tre decenni di lavoro nell’assistenza umanitaria, non ho visto niente di comparabile. Quando l’Onu dice che è la peggior catastrofe umanitaria non è un eufemismo. È così. E questo prima dell’ultima operazione nel nord, dove non ci è ancora stato consentito di entrare».


Perché afferma che l’assistenza umanitaria non è questione di convogli?


Perché dobbiamo essere sicuri che passino gli aiuti “giusti” in termini di qualità e di quantità. Chi lo decide? Le Nazioni Unite non possono farlo da sole: devono capirlo con gli abitanti. In condizioni normali, dunque, le squadre in loco fanno consultazioni e rilevazioni. I servizi, poi – come fermare la violenza di genere o assistere o i 17mila minori non accompagnati che dormono per strada – sono importanti quanto il cibo e le medicine e non puoi caricarli su un convoglio. Devi poterli costruire sul terreno. A Gaza non siamo autorizzati a farlo. Lavoriamo in mezzo alle operazioni militari con dei civili costretti a uno sfollamento costante. Finiamo, dunque, per mettere dei cerotti.


Le autorità israeliane sostengono che il flusso di aiuti a Gaza nord si è normalizzato.


Abbiamo accesso solo a Gaza City e zone limitrofe. Non ai campi di Jabalia, Beit Lanoun e Beit Lahiya, epicentro dei combattimenti. Non sappiamo che cosa stia accadendo.


Si parla anche di un nuovo blocco delle importazioni a Gaza di beni per il settore privato, ripreso a primavera.


Si ed è molto pericoloso perché le agenzie umanitarie non possono colmare il gap. Finora il ritmo era tra i 150 e i 200 convogli al giorno. Ora è calato a 50. E nel prossimo futuro rischia di essere sospeso del tutto.


Che cosa chiede alle parti di questa guerra?


Accesso libero e completo, la protezione dello staff perché possa lavorare e un ambiente minimante sicuro per raggiungere le persone. Chiedo di mettere al primo posto l’interesse dei civili innocenti. E l’immediato rilascio degli ostaggi, hanno già sofferto troppo. In sintesi, di poter svolgere il nostro lavoro in base ai principi del diritto internazionale umanitario. Ora non ci è consentito.


Di fronte a questa catastrofe tanti si domandano dove siano le Nazioni Unite…


Per fare assistenza umanitaria occorrono due cose: volontà e possibilità. Sulla prima non ci sono dubbi: i colleghi rischiano la vita sotto le bombe. La possibilità non dipende da noi bensì dagli Stati membri. Questi ultimi hanno fallito miserevolmente. E noi ci occupiamo del risultato dei loro fallimenti. Se avessero fatto un buon lavoro, non sarei seduto di fronte a lei, dopo un anno, a raccontare l’orrore di Gaza.


Che cosa ha visto a Gaza?


Distruzione, macerie ovunque e gente che dorme dove capita. Tanti in riva al mare fra i fiumi di liquami. Della vecchia Gaza non resta più nulla. Un anziano mi ha detto: “Le famiglie sono spezzate, le comunità distrutte, la società è implosa. Per le strade della Striscia vagano due milioni di zombi”. Ha ragione.


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