«Questo a cui stiamo assistendo, qui in Ambazonia, è un genocidio. Un genocidio. Che continua senza sosta. Nel silenzio generale». Lui è un religioso che svolge il suo ministero nel Camerun anglofono (Ambazonia è, appunto, il vecchio nome della regione separatista). Chiede l’anonimato, per ovvie ragioni di sicurezza. Ma la denuncia è circostanziata, fortissima.
Nessuno sa con precisione quanti siano i morti, i feriti, e le persone che hanno perso le loro case. Secondo fonti governative sarebbero decine le vittime, ma la popolazione locale parla di centinaia.
«All’inizio di agosto – racconta il sacerdote – l’esercito camerunese ha attaccato la cittadina di Mbonge bruciando abitazioni, uccidendo e ferendo molti civili. Persino il piccolo ospedale non è stato risparmiato. E i pazienti impossibilitati a scappare sono stati bruciati vivi nei loro letti. La pulizia etnica nel Camerun anglofono dilaga, lontano dagli occhi del mondo». Da quando è iniziata la crisi, nel 2016, secondo le autorità della capitale camerunese, Yaoundé, oltre 120 persone sono morte. Civili e insorti sono rimasti vittime delle operazioni militari, ma anche le forze di sicurezza hanno subito delle perdite. La Chiesa cattolica locale, in prima linea per promuovere il dialogo tra il presidente Paul Biya e la leadership della ribellione, continua a denunciare le violenze. In un recente messaggio della Conferenza episcopale nazionale del Camerun, si legge che «la crisi aumenta ogni giorno di intensità, minacciando la coesione sociale».
Per la prima volta dall’inizio dei disordini, il governo ha deciso di punire alcuni soldati ripresi in un filmato mentre uccidevano a sangue freddo due donne e i loro due bambini. «Abbiamo arrestato sette militari, tra cui un luogotenente, per aver assassinato dei civili – ha dichiarato Issa Tchiroma Bakary, portavoce del presidente Biya –. Il governo metterà le prove di questo gesto efferato a disposizione della giustizia per avviare un processo giudiziario».
Il Camerun anglofono, situato nell’ovest del Paese al confine con la Nigeria, vuole la sua indipendenza. Le regioni del Nord-Ovest e del Sud-Ovest, popolate dal 20 per cento dei 23 milioni di camerunesi, sono sotto coprifuoco. I mezzi privati possono viaggiare solo durante il giorno, mentre le moto sono state bandite dalle strade di alcuni distretti giorno e notte. «Abbiamo adottato queste direttive per ragioni di sicurezza – aveva detto Adolphe Lele Lafrique, governatore del Nord-Ovest, dopo che tre gendarmi e una ventina di separatisti erano rimasti uccisi in uno scontro a fuoco nella località sud-occidentale di Mundemba Ndiam –. Chiunque non rispetterà tali misure sarà punito secondo la legge e le norme in vigore».
Nel 2017, Biya, al potere dal 1982 e candidato per le elezioni di questo ottobre, aveva bloccato l’accesso a Internet nella zona anglofona per cinque mesi. Nonostante alcuni segnali di blanda riconciliazione, da Yaoundé l’ordine è sempre stato di «fermare ogni tentativo di secessione», per quanto piccolo sia. «Siamo stanchi di sottostare al regime di Biya – afferma un residente di Buea, capitale della regione del Sud-Ovest –. La nostra popolazione si sente marginalizzata e derubata delle sue ricchezze».
Secondo gli analisti, le due regioni occidentali, ricche di petrolio, gas, legname e prodotti agricoli, assicurano il 60% del Pil camerunese, e rappresentano una fonte troppo importante per Yaoundé. Le amministrazioni anglofone sono dominate dalla presenza di francofoni per mantenere il controllo del governo sul territorio. La popolazione anglofona sta protestando contro «un processo di assimilazione forzata nel sistema francofono».