Molti civili stanno lasciando la città di Marawi: il centro conta oltre 200mila abitanti (Ansa/Ap)
Resta incerta la situazione nella città di Marawi, sull’isola filippina meridionale di Mindanao. Attaccata la notte di mercoledì da militanti del gruppo Maute, che ha autoproclamato la propria alleanza con il Daesh, Marawi, di cui è in corso una evacuazione parziale, resta in stato d’assedio, con scontri a fuoco ancora registrati in diverse aree nonostante le rassicurazione governative che la situazione è sotto il pieno controllo della polizia e delle forze armate filippine.
Incendiate durante l’attacco la Cattedrale cattolica e altre chiese. Confermato da fonti ecclesiali il sequestro da parte degli assalitori del vicario della prelatura, padre Teresito Suganob, di almeno 15 fedeli in preghiera e di personale della cattedrale e della scuola cattolica. Non confermata invece la decapitazione di alcuni ostaggi. Confermata finora, invece, la morte di due militari e di un poliziotto. Il discusso presidente Rodrigo Duterte, che per rientrare ha sospeso il viaggio in corso in Russia, ha dichiarato la legge marziale a Mindanao per i prossimi due mesi. Un provvedimento che ha raccolto forte scetticismo, anche da vari esponenti ecclesiali.
Drammatica la testimonianza del vescovo Edwin De la Peña all’agenzia Fides: “I fedeli erano in chiesa per pregare Maria nell’ultimo giorno della Novena. I terroristi hanno fatto irruzione e hanno preso gli ostaggi, poi sono penetrati nella residenza del vescovo e hanno rapito il vicario generale. Infine hanno dato alle fiamme la cattedrale e l’episcopio. È tutto distrutto”. Incendiati anche diversi altri edifici, tra cui due scuole e il carcere, ma è stato respinto il tentativo di occupare il Municipio da dove il sindaco ha chiesto ai militari di non bombardare la città. Decine di migliaia dei 200mila abitanti sono in fuga, filtrati da posti di blocco sia dei ribelli, sia dei militari.
Responsabile dell’azione sarebbe il gruppo armato Maute, vicino al più noto Abu Sayyaf, altro movimento che dopo essere stata il principale supporto per l’espansione di al-Qaeda nella regione avrebbe da qualche tempo, come Maute e altri, offerto la sua fedeltà al Daesh di Abu Bakr al-Baghdadi. A questi gruppi il presidente Rodrigo Duterte, fedele alla sua fama di “uomo forte” temprata nel ventennio da primo cittadino nella città di Davao, la maggiore di Mindanao, ha offerto la resa o l’annientamento.
Rientrato ieri precipitosamente dalla Russia dove era in visita di Stato e dove aveva incontrato il presidente Vladimir Putin, Duterte ha proclamato la legge marziale in tutto il meridione per un periodo di 60 giorni estensibile, se ce ne sarà la necessità, non solo nel tempo ma anche a tutto il Paese. Una proclamazione che ha sostenuto con la notizia che i ribelli avevano decapitato il capo della polizia di Malabang, località nella stessa provincia di Lanao del Sud. Immediata la perplessità e anche l’aperta opposizione al provvedimenti di settori della società civile e anche di esponenti della Chiesa cattolica. Non a caso forse, segnalano i critici, il presidente ha equiparato la situazione attuale a quella che negli anni Settanta consentì a Ferdinand Marcos di imporre un regime indiscusso e brutale.
Scontri sporadici si sono registrati anche ieri mattina fra islamisti del gruppo Maute e le forze del governo delle Filippine. Continua l'esodo, intanto, dei civili dalla cittadina di 200mila abitanti: stanno scappando da Marawi verso la vicina Iligan. Il sindaco Majul Gandamra ha confermato che gli islamisti hanno dato fuoco a numerosi palazzi, sgozzato il capo della polizia e issato la bandiera del Daesh sul palazzo del comune: "Per gli abitanti è difficile trovare acqua e cibo. La nostra priorità è quella di riuscire a distribuire cibo e un rifugio provvisorio per gli sfollati", ha spiegato.