sabato 6 febbraio 2021
Oltre al conflitto interno in Tigrai e alle violenze interetniche, al confine del grande paese africano soffiano venti di guerra con il Sudan per una piana fertile contesa da decenni
Profughi tigrini al confine sudanese

Profughi tigrini al confine sudanese - Reuters

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Etiopia senza pace, si infiamma anche il conflitto con il Sudan per la piana di al-Fashqa, contesa da decenni. Ieri fonti militari di Khartoum hanno reso noto che almeno 50 soldati etiopi sono rimasti uccisi in scontri con le forze sudanesi nell’area. Gli scontri sono iniziati giovedì, quando Addis Abeba ha lanciato una serie di attacchi contro le forze sudanesi nell’area di Umm Karura. A metà gennaio, dopo colloqui conclusi con un nulla di fatto, Khartoum aveva denunciato lo sconfinamento di caccia etiopi nello spazio aereo sudanese aggravando tensioni già alte per la diga sul Nilo e i problemi causati dai 56 mila profughi etiopi fuggiti dal Tigrai in seguito all’offensiva dell’esercito etiope lo scorso 4 novembre.

Sulla sfondo resta sempre la tensione che coinvolge Etiopia, Sudan ed Egitto per la grande diga sul Nilo che Addis Abeba sta terminando e sulla quale non si registrano progressi negli accordi. Sul conflitto in Tigrai continua intanto la pressione internazionale per far entrare, in modo libero e ampiamente accessibile, gli aiuti umanitari internazionali per tutta la popolazione tigrina a rischio fame, come ribadito da molti allarmi delle agenzie umanitarie. Fame causata anche dagli ostacoli burocratici creati da Addis Abeba all'ingresso di cibo e farmaci nella regione settentrionale.

Dopo gli interventi "preoccupati" per la crisi umanitaria nei giorni scorsi del segretario generale Onu Guterres, della cancelliera tedesca Merkel e del presidente francese Macron, del governo italiano che sta preparando un volo umanitario, ieri è intervenuto con un tweet il neosegretario di Stato americano Antony Blinken dicendo di aver parlato con il premier etiope Abiy Ahmed per «esprimere preoccupazione sulla crisi e sollecitare un accesso sicuro in Tigrai e senza ulteriori ostacoli agli aiuti umanitari». Una conferma del cambio di linea della nuova amministrazione Biden sul Corno d'Africa. Washington ieri ha puntato nuovamente il dito sull'Eritrea, accusata da molti testimoni che hanno provato a bucare il blackout comunicativo calato sulla regione da tre mesi, di aver appoggiato l'esercito etiope inviando diverse divisioni sul suolo tigrino dove si sarebbero macchiate di atrocità colpendo e saccheggiando chiese e moschee, ospedali, edifici pubblici e privati e compiendo diverse stragi di civili, oltre ad aver distrutto due campi profughi di eritrei.

Nei giorni scorsi l'Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi ha denunciato la sparizione di 20 mila rifugiati eritrei che secondo testimoni da lui incontrati sarebbero stati uccisi e deportati in Eritrea dai militari del regime di Isayas Afewerki. Ieri l'ambasciata americana all'Asmara ha chiesto al governo il ritiro immediato delle truppe dal suolo tigrino e l'istituzione di una commissione di inchiesta indipendente sui crimini di guerra. Stizzita la replica eritrea che continua a bollare le accuse come falsità. Il governo etiope ha invece reso noto di aver concluso l'indagine che accusa di alto tradimento i vertici del Tplf, deposto partito che guidava il Tigrai fino al conflitto.

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