sabato 7 ottobre 2023
Fin dal 2015, gli 007 slovacchi avevano denunciato infiltrazioni russe per influenzare l’opinione pubblica. Solo ora con la rielezione del «putiniano» Fico sono stati presi sul serio
Il Cremlino

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«L'agenzia di spionaggio di Bratislava afferma che gli agenti russi hanno aumentato significativamente le loro attività in Slovacchia e in tutti gli altri Paesi della Nato e dell'Unione Europea in relazione alla crisi in Ucraina». Era il 3 aprile quando l’Associated Press lanciava questa notizia: il 3 aprile, ma del 2015. Otto anni dopo le autorità del governo uscente slovacco accusano Mosca di avere condizionato il voto della settimana scorsa ricorrendo alla “disinformatija”: notizie confezionate ad arte e dichiarazioni pubbliche che possono avere influenzato un certo numero di elettori. Il presidente eletto, Robert Fico, è considerato “filorusso” e le sue prime dichiarazioni, coerenti con quanto proposto in campagna elettorale, promettono una spaccatura nel sostegno dell’Europa all’Ucraina. Come già ha fatto Viktor Orbán il quale ha chiamato l’Ungheria fuori dall’alleanza dei Paesi che sostengono la resistenza di Kiev. Ieri Vladimir Putin ha detto che «se l’Ucraina non ricevesse armi, cadrebbe in una settimana».

Nel 2015 la denuncia dei servizi segreti di Bratislava non venne troppo presa sul serio. Il gas a buon prezzo e la pubblicità positiva che Vladimir Putin si era fatto presso molte opinioni pubbliche europee non fecero drizzare le antenne. All’epoca le relazioni tra la Russia e l'Occidente avevano conosciuto una crisi profonda dopo l'annessione unilaterale della penisola di Crimea da parte di Mosca nel 2014 e il suo sostegno all'insurrezione filorussa nell'Ucraina orientale. Ma in Europa c’era chi minimizzava. Fino al 2022, quando l’attacco contro l’Ucraina ha riaperto il dibattito.

Il rapporto degli 007 slovacchi, che per cultura ed esperienza conoscono i metodi di Mosca, diceva che «spie straniere hanno cercato di infiltrarsi negli uffici statali slovacchi, nelle forze di sicurezza e di influenzare l'opinione pubblica». I tentativi di condizionamento non sono occasionali. Nei giorni scorsi tre cittadini bulgari sono stati accusati di aver preso parte ad un complotto di spionaggio. Tre insospettabili accusati di aver lavorato per anni raccogliendo informazioni sensibili destinate alle spie russe. Le indagini degli ultimi anni in tutta Europa permettono di suddividere le reti di spionaggio del Cremlino in 4 categorie: agenti che lavorano nelle ambasciate straniere fingendosi diplomatici; funzionari o politici che la Russia è riuscita a comprare; agenti sotto copertura provenienti dalla Russia ma che si spacciano per immigrati di altri Paesi e che svolgono attività che non danno nell’occhio; cellule dormienti, come quella dei tre bulgari scoperti dal servizio segreto di Londra. Uno dei primi casi di manipolazione delle informazioni in favore di Mosca è stato scoperto dalla Repubblica Ceca nella primavera del 2022, quando è stato arrestato Bohuš Garbár, che all’epoca scriveva per il sito Web di controinformazione Hlavné Správy.

Garbár ha ammesso di essere stato reclutato e pagato da emissari del Cremlino. Dopo l’invasione su vasta scala dell’Ucraina nel febbraio 2022, centinaia di spie russe sono state dichiarate «persona non grata» e cacciate dalle ambasciate in Europa, Italia compresa. La lista è lunga è dice molto della meticolosa pianificazione con cui il Cremlino ha progettato le intrusioni: dall’infiltrato di Mosca presso la Corte penale internazionale, proprio quando erano scattate le indagini su Vladimir Putin per i crimini di guerra in Ucraina, a un addetto alla security dell’ambasciata di Londra in Germania. In Norvegia, un colonnello del Gru, il servizio segreto militare russo, si era camuffato da studente di un master all'Università di Tromsø, dove era coinvolto in un gruppo di ricerca che lavorava con agenzie governative norvegesi sulle minacce ibride legate alla regione artica. A Napoli un agente russa che fingeva di essere originaria del Perù gestiva una attività commerciale vicino al Comando interforze alleato della Nato, stabilendo relazioni ravvicinate con diversi funzionari e militari. È stata scoperta solo quando il suo numero sequenziale di passaporto è trapelato dopo una serie di inchieste giornalistiche in Bielorussia. Nelle prime dichiarazioni post-elettorali in Slovacchia, il leader di Direzione-Socialdemocrazia (Smer-Sd) Robert Fico ha ribadito che è «pronto ad aiutare Kiev a livello umanitario e con la ricostruzione, ma non con gli armamenti», anche perché la Slovacchia «ha problemi maggiori» da affrontare. Una sponda che Mosca non si è lasciata sfuggire. Immediatamente dal Cremlino hanno affermato che «assurdo» definire il postcomunista Fico come un “filorusso”. Questa etichetta – hanno aggiunto – viene affibbiata a “tutti i politici europei che hanno a cuore la sovranità del proprio Paese”.

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