Processione degli sciiti per l'Ashura a Herat, dopo la conquista dei taleban. Non ci sono stati combattimenti e questo lascia pensare a un accordo - Ansa
Molti sono ancora gli interrogativi rimasti senza risposta, posti dalla fulminea conquista dell’Afghanistan da parte degli “Studenti del Corano”. Diversi analisti sostengono che una simile vittoria non sarebbe stata possibile se non fosse stata in qualche modo concordata – o quantomeno tacitamente accettata – con la controparte, nello specifico con gli americani. Secondo gli analisti, l’“Accordo per portare la pace in Afghanistan” sottoscritto il 29 febbraio del 2020 a Doha, nel Qatar, dagli Stati Uniti e l’«Emirato islamico dell’Afghanistan» contiene clausole segrete che disegnano il nuovo quadro geopolitico nella regione.
Onde evitare di cadere nelle speculazioni, ci limitiamo a riavvolgere il nastro degli ultimi eventi per registrare quanto di «poco consueto» possa aver visto una sua traduzione sul terreno, come la concordata «messa in sicurezza» dell’aeroporto di Kabul per favorire l’operazione di evacuazione dei militari e cittadini stranieri al Paese.
Sicuramente, l’Accordo di Doha stabilisce le norme per neutralizzare il Daesh, tuttora presente in alcune zone orientali dell’Afghanistan, sul confine con il Pakistan. Tra poco assisteremo quindi a una guerra “ufficiale” tra un governo notoriamente qaedista e i seguaci del Califfato.
Ma le domande che sorgono spontanee circa l’Accordo riguardano il curioso capitolo Iran. Possibile che Washington si sia rassegnata all’idea di abbandonare l’Afghanistan senza avere delle rassicurazioni sul fatto che Teheran non ne tragga beneficio, come aveva fatto in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein? In altre parole, senza “delegare” ai taleban il compito di mantenere l’accerchiamento del Paese mediorientale più nelle mire degli Stati Uniti?
In verità, una delegazione dei taleban si era recata il 7 luglio scorso a Teheran per partecipare a colloqui patrocinati dall’Iran con il governo di Kabul, accolta dal ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif. L’Iran aveva tutto l’interesse di vedere l’Afghanistan libero dalle truppe statunitensi, e proprio per questo scopo non disdegnava di fornire aiuti militari ai vecchi rivali taleban, ma Teheran non gradisce certo vedere questi ultimi governare il Paese da soli.
In tivù sono volate implicite minacce dai commentatori iraniani all’indirizzo degli “studenti” in caso di espansione nelle zone frontaliere occidentali senza «il necessario benestare» dei Fatimiyyoun, ossia delle brigate sciite reclutate dai pasdaran tra i rifugiati hazara afghani in Iran, e mandate a combattere in Siria.
Alla fine, non abbiamo visto nessuno scontro tra le milizie sciite e i taleban, con questi ultimi che hanno occupato, l’una dopo l’altra, le tre province confinanti con l’Iran senza colpo ferire: Farah, Nimruz e Herat. La mancata reazione iraniana sarebbe riconducibile al concomitante passaggio dei poteri tra Hassan Rohani e Ibrahim Raisi oppure a un approccio pragmatico deciso ai massimi vertici religiosi iraniani?
Per ora, e mentre l’Occidente si adopera per mettere in salvo il suo personale diplomatico, l’Iran ribadisce che le sue missioni presenti a Kabul e a Herat sono rimaste aperte. Ma gli esperti iraniani ricordano nel contempo che il capo della Forza Quds, Esmail Qaani, succeduto a Qassem Soleimani, è «specialista in questioni afghane».