Jet militari russi volano sul cielo di Mosca durante una parata militare - Ansa
Prima del 24 febbraio, l’Aeronautica russa incuteva timore ovunque. Dopo dieci mesi di guerra, è l’ombra di se stessa. Incontra difficoltà perfino con i jet di ultimo grido, costretti lontano dal fronte e sempre più in pericolo, insidiati dalle contraeree occidentali che affluiscono a Kiev.
Oryxblog, eccellente sito d’intelligence, documenta da mesi le perdite belliche dei due contendenti: i russi ne lamentano un’infinità. Hanno già lasciato sul terreno 68 aerei e 74 elicotteri moderni. Un’ecatombe, che non risparmia mezzi pregiati come i Sukhoi-34, colonna portante della loro aviazione. Micidiali in Siria, quei velivoli costano 50 milioni di dollari a pezzo. Sulla carta non mancano di nulla.
Che Mosca ne abbia perso il 26% del totale schierato impressiona, anche perché molti abbattimenti sono frutto della caccia ucraina, che continua a volare impunita. Un dato che ha sorpreso molti. Nelle guerre degli ultimi vent’anni, la Nato ha annientato le minacce aeree nel giro di pochi giorni, attaccando con ondate di centinaia di jet per volta, senza concedere respiro.
I russi non ci sono mai riusciti. Eppure hanno tutto: aerei in abbondanza (1.517) e dottrine d’impiego che impongono ai jet di proteggere al massimo le truppe al suolo. Perché allora questa debacle?
Le cause sono tante, a partire da un comando incapace di pesare dove conta. Nemmeno un suo ufficiale figura nell’organigramma dei vertici militari russi. Putin ne è la causa. Nel 2017, ha chiamato a dirigere le forze aerospaziali un ufficiale di fanteria: quel Sergeij Surovikin balzato agli onori della cronaca perché da ottobre comanda il corpo di spedizione in Ucraina.
Surovikin sarà pure pratico di carri e fanti, ma non è ferrato negli affari complessi di un’aviazione moderna. E infatti l’ha trattata con supponenza, trascurando la formazione degli uomini. E forse anche per questo ieri è stato silurato a favore di Gerasimov, restandone soltanto il vice.
Piano piano i piloti preparati sono così svaniti nel nulla. Non si addestrano a dovere: volano meno di 100 ore all’anno, a fronte delle 180 minime che la Nato garantisce ai suoi piloti. E quando ci si addestra poco si perde dimestichezza con gli aerei. Per il Rusi britannico, ai russi mancano pure esperti di operazioni aeree integrate. Il Paese non svolge esercitazioni complesse, con pari grado stranieri. Le sue guerre recenti, agevoli, non hanno colmato le lacune di un’aeronautica mai impegnata prima d’ora in conflitti densi di minacce. Un handicap inconcepibile fra i Paesi Nato, sempre indaffarati in manovre.
Per salvarsi dal disastro ucraino, il Cremlino ha avuto inoltre l’idea geniale di spedire al fronte i pochi piloti provetti di cui dispone, attempati e sottratti di colpo alle scuole di formazione. La macchina si è inceppata. Non potrà preparare nuovi allievi, sempre più scarsi. Nel 2015, ne mancavano all’appello 1.300, fra piloti, ingegneri e tecnici. Un deficit difficilmente colmabile nel breve periodo, anche perché quei profili non affascinano, snobbati come sono dai gerarchi e sottopagati.