In Siria c’è qualcosa che forse uccide più della guerra. E se lo chiedete ad Aleppo nessuno esiterebbe a rispondervi: «le sanzioni internazionali », che tra tutti gli altri ostacoli finanziari impediscono anche qualsiasi trasferimento di un bene diventato sempre più prezioso per la popolazione: il petrolio. Approvate dall’Unione Europea il 2 settembre del 2011, il pacchetto delle sanzioni prevede il divieto totale (fatta eccezione per pochissimi motivi umanitari diventati sempre più rari) di importare ed esportare fuori dal Paese l’oro nero. «Se il gasolio – racconta Padre Simon Herro, responsabile della Custodia di Terra Santa per la Regione di San Paolo (che comprende Libano e Siria) – costava prima della guerra 80 lire siriane al litro, oggi arriva anche a 300 e comunque si fa molta fatica a trovarlo. A volte, quando arrivano i barili, bisogna aspettare in fila quasi 10 ore per avere al massimo una ventina di litri». Anche se prima della guerra la Siria era un buon Paese produttore di petrolio. Solo il giro d’affari con l’Europa si aggirava attorno ai 7 miliardi di dollari. E nonostante il trend negativo, alla fine del 2011 riusciva comunque a produrre 375.000 barili al giorno. Tutto ciò fino al 2014, quando i miliziani del Daesh si sono impadroniti di più del 70% del territorio siriano, facendo di Raqqa la sua capitale. E tra le conquiste i jihadisti hanno anche preso tutti i pozzi petroliferi incontrati durante il cammino. Nel giro di pochi mesi Assad si trova di fatto impossibilitato a produrre petrolio sufficiente per la gente rimasta nella “sua” Siria. E l’avanzata di Al-Baghdadi, unita alle misure comunitarie, ha messo presto in ginocchio i trasporti e tutta la popolazione. «Da quando il Daesh ha preso il controllo della maggior parte delle infrastrutture petrolifere della Siria – riferiscono i frati – le condizioni della gente sono estremamente peggiorate». E dalla stremata città di Aleppo sale il grido di tutta la comunità, cristiana e non: «Gli scontri continui tra le diverse fazioni ci impediscono di vivere. Ci tolgono per settimane acqua ed elettricità, e tutta la città è costretta a fermarsi». Le ritorsioni politiche sono state denunciate recentemente anche dal vescovo latino di Aleppo, monsignor George Abou Khazen: «L’acqua ci sarebbe, perché arriva direttamente dal fiume Eufrate. Ma le truppe del Daesh che controllano le dighe fuori dalla città bloccano il passaggio per ritorsione contro i bombardamenti occidentali, e siamo costretti a usare i pozzi per estrarla dalla terra». Lo stesso discorso vale per la corrente elettrica, che nei tanti momenti di emergenza viene offerta solo dai generatori di corrente comprati e installati in alcuni luoghi della città. Ma pozzi e generatori funzionano solo a gasolio. E dunque si ritorna al discorso precedente. «Per offrire solo due ampere di elettricità ai miei parrocchiani – racconta padre Ibrahim – sufficienti per accendere una lampadina alla sera, devo pagare circa 20 euro di gasolio». Ma garantire un’illuminazione normale, a gennaio quando le giornate sono anche più brevi, è impossibile. La difficoltà più grande però riguarda ancora il riscaldamento delle case. «Sarebbe necessario far arrivare una quantità di fondi immensa per riscaldare in modo adeguato le abitazioni degli aleppini». Con tutte le difficoltà che questo tipo di operazione comporta. E bisogna fare presto. Perché nell’inverno freddo della Siria, non muoiano più altri bambini.