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“Nonno, mi accompagni oggi a pallavolo e domani a catechismo?”
La richiesta della nipotina, di trasporto casa-palestra-parrocchia, può essere, per me, preziosa occasione per una chiacchierata a due in tema non solo sportivo, ma soprattutto di fede e religione. Ma come parlare, di un tema così arduo e complesso in una società “liquida e secolarizzata”, ad una bambina alle soglie della preadolescenza? E per di più, da parte di un nonno con un cammino di spiritualità fatto di tensione e speranza, ma con varie, sofferte perplessità nei confronti di alcuni aspetti dottrinali della religione cattolica nei cui confronti sente comunque profonde le sue radici?
L’occasione me la offre la stessa nipotina che, in viaggio verso la “lezione” di catechismo, mi chiede secca: “Perché nonno devo andare di nuovo al catechismo per poter fare la cresima? E cosa è la Cresima?”. A questa domanda non ho saputo che rispondere come avevo imparato a memoria al catechismo di circa sessant’anni fa.
“La Cresima o Confermazione è un sacramento molto importante che richiede preparazione. Infatti, su di te scende lo Spirito Santo e così diventi “soldatessa” di Cristo che presta il suo servizio per il Regno di Dio”.
La ragazzina non dice più nulla, ma mi chiede se può fare, in attesa, un video gioco sul mio smartphone. Non so se perché soddisfatta della risposta o perché la giudica così astrusa da non meritare ulteriore attenzione. Risposta, la mia, formale e penso superata per una “ermeneutica teologica” di questo sacramento adeguata ai tempi.
Mortificato per la mia inadeguatezza di nonno credente che dovrebbe trasmettere e testimoniare la fede, ho tentato di “aggiornarmi” reperendo un testo recentissimo di Catechismo cattolico per bambini e genitori approvato dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione.
Pur riconoscendo lo sforzo per la “modernizzazione” della catechesi alla sensibilità del tempo, non sono però stato in grado di rilevare alla voce “Cresima/Confermazione” una definizione più “avvincente e comprensibile”, per un bambino di oggi, di quella imparata ai miei tempi.
Ma di questo testo mi ha soprattutto colpito, scorrendo all’inizio l’indice, il fatto che si indichi Gesù solo alla fine e in una sezione speciale per i genitori. Certo, di lui si parla e anche con espressioni dolci e umane come quelle riferite a Gesù bambino, ma non all’inizio e in un capitolo specifico, bensì all’interno di una parte titolata “Il Credo-12 fatti su Dio”. E neppure come primo fatto.
Certo, la collocazione in questo Catechismo di Gesù è corretta in quanto fedele al disegno di salvezza rappresentato dal racconto biblico che lo indica non come inizio, ma come annuncio e compimento. Altrettanto legittimi i necessariamente sintetici riferimenti all’enorme corpus teologico-dottrinale prodotto dalla Chiesa voluta da Gesù (Mt 16. 13-20), nella sua versione storica “postcostantiniana”, in poco meno di due millenni.
Ma come nonno di fede cristiana e con una preparazione molto modesta, vorrei trasmettere e testimoniare ai nipoti - per usare una felice espressione di papa Francesco - la “fede in dialetto”. «La fede si trasmette sempre nel dialetto familiare ed esperienziale, per questo è importante il dialogo dei bambini con i nonni che sono coloro che hanno la saggezza della fede» (Udienza 13 settembre 2023).
Parimenti penso che un catechismo dei bambini (di utilissima consultazione per i compiti spirituali di nonno) non debba essere il compendio ad uso infantile di un trattato teologico-dottrinale, ma un messaggio con elevato valore ermeneutico per parlare ai bambini di fede nel “loro dialetto”, cioè con il linguaggio della loro età e del loro tempo. E così, oltre a Gesù al primo posto, occorrerebbe non solo inserire testimonianze vive sulla fede di grandi personaggi e di santi, ma anche di persone comuni, quelli che hanno narrato e narrano la fede, appunto “in dialetto”.
Papa Francesco afferma, nella citata udienza, che sarebbe bello se ci fosse, fin dall’inizio, negli itinerari di catechesi anche l’abitudine di ascoltare dall’esperienza vissuta degli anziani, la lucida confessione delle benedizioni ricevute da Dio che dobbiamo custodire e la leale testimonianza delle nostre mancate fedeltà che dobbiamo riparare e correggere. E, continua, dicendo che il catechismo dell’iniziazione cristiana attinge alla Parola di Dio trasmettendo accurate informazioni su dogmi, sacramenti, morale. Spesso, aggiunge, manca una conoscenza che nasca dall’ascolto e dalle testimonianze della storia reale della fede e della vita della comunità ecclesiale. La parola di Dio la si impara da bambini nelle aule del catechismo, ma anche attraverso la famiglia, la scuola, il gruppo. Attraverso la vita, insomma, aggiungo io.
Grazie papa Francesco per aver parlato di fede (non di religione, pur importante, ma derivata), valorizzato le testimonianze di fede “umili” come quelle che ho interiorizzato dalle mie due nonne e che vorrei trasmettere, testimoniandole ai miei nipoti: “Aiutati che il ciel ti aiuta”, in nome della responsabilità e libertà che Dio ci ha concesso, ma anche “Sia fatta la volontà del Signore”, in nome della consapevolezza del limite della nostra creaturalità.
Coraggio nonne e nonni, credenti, praticanti assidui o saltuari, sulla soglia, in ricerca o perplessi, testimoni di fede ancor prima che di religione. I nostri nipoti, bambini e giovani, ci chiedono grande impegno e responsabilità per il cambiamento. Se vogliamo oggi annunciare come cristiani la Parola di Dio, il Verbo, nelle “corde” del nostro tempo e dei nostri nipoti, dobbiamo mettere davvero al centro Gesù vivo e incarnato per amore e non per legge, dogmi, riti e norme formali. Dobbiamo rendere visibile la nostra creaturalità trascendente, affratellata a Gesù, se pur infinitamente più indegna, fragile e limitata. E così saremo in grado di trasmettere la fede “in dialetto”. Tutto il resto, penso, viene dopo e di conseguenza.