Riccardo Pravettoni
«Vedo dentro ogni persona. Vedo tutti gli strati che ci sono in noi. Vedo dentro e oltre». Così Riccardo Pravettoni, 27 anni, fotografo, descrive il suo sguardo verso il mondo, quello che usa per puntare l’obiettivo sulla realtà che lo circonda ma anche quello che gli serve per comprendere il suo delicato mondo interiore. Una lente speciale che gli viene da quella sindrome complessa che si chiama autismo. A Riccardo è stata diagnosticata all’età di tre anni. Nessuno riusciva a capire la ragione per cui questo bambino bellissimo non parlasse e restasse continuamente isolato nella cameretta della sua casa nel milanese.
«Ricordo ancora quella visita in cui il neuropsichiatra mi disse di escludere qualsiasi forma di autismo» racconta la mamma, Loredana Casucci, rievocando la confusione e la solitudine di quei primi anni. “Intanto il tempo passava e mio figlio continuava a restarsene appartato, come se fosse rinchiuso dentro una gabbia. Sfarfalleggiava di continuo con le mani, non mangiava, ci tirava il cibo addosso. Io mi limitavo ad osservarlo, volevo capire, fare qualcosa. Provavo a coinvolgerlo. Mi sedevo vicino a lui e lo invitavo a giocare. Lui allora interrompeva quel suono che emetteva di continuo e interagiva con me. Sono state le macchinine ad attrarlo più di tutto il resto, e di lì a poco si è appassionato alle auto vere e proprie, delle quali ricordava, in modo sorprendente, le targhe. Una svolta per me, che mi sforzavo di capire il suo modo di comprendere le cose. «È con le immagini che impara, ho realizzato, e con le immagini, da quel momento, abbiamo cominciato a comunicare».
Così, mentre all’asilo le educatrici gettano la spugna davanti ai comportamenti spiazzanti di questo bambino speciale, la mamma, da un’intuizione all’altra, si trasforma in un’insegnante, che grazie ai libri illustrati e al racconto di storie fantastiche e avventurose, fa scattare le prime forme di relazione di Riccardo. A 6 anni emette i primi suoni, semplici sequenze di consonanti, sufficienti però per iniziare a dialogare. Si tratta di un grande passo avanti nella strada tortuosa che mamma e figlio percorrono sempre insieme, che Loredana ha raccontato nel libro L’autismo nello zaino e le incredibili avventure di Ricky (Edizioni Vertigo).
«Quando ha cominciato a frequentare la scuola mi sedevo in un angolo per condividere le sue attività e trasmettevo tutta la mia esperienza e le informazioni utili all’insegnante di sostegno». È in questi anni che Riccardo sperimenta anche diversi sport, il nuoto, lo sci, la barca a vela. Durante le superiori si cimenta con il golf, in cui subito eccelle. In questa pratica emergono infatti le abilità particolari del ragazzo: la concentrazione, l’attenzione per il particolare, la memorizzazione e la ripetizione. Insomma, quei tratti peculiari della sindrome autistica che, se vengono incanalati correttamente, possono diventare risorse speciali per chi la vive. Arrivano così le gare e i premi ma la vittoria più importante è questa prima prova di inclusione. È nella fotografia però che, di lì a poco, il talento di Riccardo trova la sua espressione migliore. «Una capacità che è emersa già alle medie e in particolare durante una gita scolastica a Trieste”, racconta la mamma. Con la macchina usa e getta che gli avevamo regalato era riuscito a scattare quasi cento foto in soli tre giorni. In quelle prime immagini c’era già tutta la sua genialità nel fermare i luoghi e il tempo, nel cogliere i dettagli nascosti eppure fondamentali di strade, piazze e opere d’arte». Così, quando le medie si concludono, non ci sono dubbi sulla scelta degli studi superiori: Riccardo si diploma all’Istituto tecnico Albe Steiner di Milano, ottenendo brillanti risultati, per poi frequentare l’Istituto Italiano di Fotografia.
«A rendermi consapevole delle sue capacità è stata una fotografa rimasta molto colpita dalle immagini scattate da Ricky e dal loro valore tecnico, tanto da suggerirmi di allestire una mostra con le sue foto. Fu un vero successo, non soltanto per il riscontro entusiastico del pubblico ma perché Riccardo si aprì per la prima volta con tutte le persone che incontrava, raccontando origini e storie legate alle immagini esposte».
È stata quella la prima di una serie di esposizioni dedicate agli scatti di Riccardo, fino all’ultima, allestita a novembre 2023, in occasione del Festival Paralimpico di Taranto, con le sue foto realizzate al Suds European Championship di Padova, campionati europei dedicati agli atleti con sindrome di Down. Durante la manifestazione il ragazzo ha avuto l’occasione di accompagnare il presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla Mostra delle sue opere.
Il progetto Aut Friendly
Ed è nel segno dell’inclusione che Loredana, insieme a suo figlio, ha dato vita all’associazione Vademecum per l’autismo, una realtà quasi totalmente autofinanziata dal giovane fotografo, che nasce proprio dalla testimonianza di Riccardo, dalle battaglie intraprese e dagli ostacoli superati, per sostenere tutte le famiglie con autismo, ancora oggi lasciate sole, senza prospettive per la quotidianità dei loro figli. Nel solco delle attività promosse dall’associazione è nato Aut Friendly, un progetto che punta a creare un collegamento reale tra famiglie delle persone affette dal disturbo autistico e la società intera. “Un programma che vuole migliorare la vita quotidiana di chi si trova in questa condizione”, assicura Loredana. “Proviamo a immaginare quanto sia difficile trovare negozi e servizi adatti alle esigenze speciali che comporta il disagio autistico. Può trattarsi di un negozio di abbigliamento, come del parrucchiere o del dentista. Tutti bisogni che possono essere soddisfatti solo se chi li offre è in grado di accogliere con i tempi e le modalità adeguate questi soggetti”. Attraverso un database verranno raccolti i contatti dei professionisti e i servizi offerti, e le informazioni saranno disponibili tramite il sito www.autfriendly.com. Il progetto è già stato presentato in Regione Lombardia ma si rivolge all’intero territorio nazionale. “Vogliamo contribuire a costruire una cultura sull’autismo, a ridisegnare una società in cui l’incontro tra normodotati e persone fragili diventi uno scambio reciproco e fecondo”.
“Mettiti nei miei panni”
Ed è proprio dalla necessità di questo confronto urgente che anche quest’anno ritorna l’iniziativa “Mettiti nei miei panni”, promossa dal Servizio per la disabilità e l’inclusione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Un progetto unico tra le università italiane, che ha lo scopo di far comprendere all’intera popolazione studentesca le difficoltà affrontate ogni giorno dagli studenti con disabilità che frequentano le sedi dell’ateneo. Ordinare un panino ad occhi chiusi, attraversare cortili e corridoi e poi salire in ascensore a bordo di una sedia a rotelle. Ogni gesto, anche il più banale, può trasformarsi in un’esperienza quasi insormontabile in presenza di limitazioni fisiche e mentali. Ed è solo sperimentando questi limiti che possiamo comprendere davvero quanto può essere complessa la quotidianità di una persona con disabilità. A questo puntano le giornate di sensibilizzazione della Cattolica che partiranno a Brescia, il 17 aprile. Sarà poi la volta di Piacenza il 22, mentre il 23 l’evento si svolgerà, per la prima volta a Cremona. A Milano ci saranno invece gli appuntamenti finali: il 6 maggio è la data riservata agli istituti scolastici su invito e il 7 quella per gli studenti della sede di largo Gemelli. Dalle 9 alle 16 ragazze e ragazzi saranno coinvolti in attività di simulazione per sperimentare direttamente limiti visivi e motori e ci saranno anche laboratori sensoriali per provare che cosa sia la restrizione della capacità uditiva. Sarà possibile anche “toccare con mano” le potenzialità offerte dalle tecnologie per l’accessibilità. Non parteciperanno solo gli studenti ma anche i dipendenti dell’ateneo, bidelli e segretari di facoltà.
“Il nostro ateneo è da sempre sensibile alle tematiche della disabilità e dell’inclusività”, sottolinea Luigi D’Alonzo, professore di Pedagogia speciale della sede milanese e direttore del Servizio per la disabilità. “Un’attenzione che punta all’abbattimento delle barriere architettoniche e a garantire accessibilità totale, reale e virtuale, per le persone più fragili. Ma oltre alle barriere fisiche ci sono quelle sociali e culturali, che sono ancora dure da abbattere”, commenta l’esperto che fa il punto sulla condizione della disabilità nel nostro Paese. “L’Italia è un faro nel mondo dell’inclusione. Abbiamo tutto a disposizione: direttive serie ed efficaci, esperienze e protocolli. Eppure ancora non siamo in grado di garantire la vera accoglienza e di contrastare la marginalità”, fa notare il docente.
“Ci vuole sicuramente più formazione a ogni livello, e soprattutto nelle scuole, dove la buona volontà e i progetti si scontrano con la mancanza di competenza. E soprattutto serve lavorare sulle relazioni, in ogni ambito della società, favorire ovunque occasioni di incontro e di scambio con le persone più fragili. Possiamo comprendere davvero che cosa sia l’inclusione soltanto in un modo: quando entra nella nostra pelle”.