mercoledì 24 aprile 2024
Una rarissima patologia al fegato di cui nessuno sapeva nulla, un malore improvviso, poi l'operazione. "Lucreazia era in punto di morte ma ce l'ha fatta". La rinascita nel triduo pasquale
Lucrezia con la sua famiglia

Lucrezia con la sua famiglia

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C’è un giorno che separerà per sempre il prima e il dopo nella vita di Lucrezia e della sua famiglia.

Un giorno che ritorna tra le pagine del libro scritto dalla mamma, Michela Musante. “Nel 2019, il 19 di aprile era venerdì. Venerdì Santo, per la precisione. Se credessi nei segni o possedessi una salda fede nelle coincidenze, sarei rimasta folgorata dal simbolismo della data. Del giorno e dell’ora. Molti lo furono, anche fra i medici che per primi la soccorsero all’ospedale di Erba, dieci giorni prima del venerdì del triduo pasquale. E l’ora esatta dell’operazione, poi. Lucrezia entrò in sala operatoria e venne aperta, sventrata e rinata – nata due volte -, nei momenti più intensi delle stazioni della via crucis”.

Nata due volte. Così è stato per Lucrezia, allora tredicenne, risultata improvvisamente affetta da una patologia al fegato talmente grave da portarla, da un giorno all’altro, in punto di morte e poi salvata, restituita alla sua giovane esistenza grazie al trapianto di un nuovo organo. Michela, insegnante e scrittrice cinquantenne, lo racconta nel testo “L’ospite. Storia di un trapianto”, pubblicato dalla casa editrice Ancora, in cui ripercorre il tragitto di dolore e di salvezza che l’intera famiglia ha affrontato in quei giorni difficili.

“Io, mio marito, Lucrezia e suo fratello gemello, Ludovico, vivevamo completamente ignari del dramma che ci avrebbe sconvolto di lì a breve. Mia figlia sembrava in perfetta salute. Era piena di attività, tornava sempre da scuola con il massimo dei voti, praticava il pattinaggio artistico a livello agonistico, e poi c’era la danza classica, la sua grande passione dall’età di quattro anni. Ha cominciato a stare male a marzo, senza aver dato segnali premonitori”, ricorda la mamma. “Si lamentava soprattutto per la grande stanchezza, che è aumentata di continuo fino a quando siamo stati costretti a ricoverarla all’ospedale di Erba, dove i medici hanno subito intuito la gravità della situazione, ipotizzando l’esistenza di una rara patologia di origine genetica”.

È così che la ragazzina viene trasferita a Bergamo, nella Terapia intensiva pediatrica dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII, attaccata alle macchine per farla rimanere viva. I dottori confermano la diagnosi: morbo di Wilson, una malattia genetica, rara e incurabile, che si manifesta nella preadolescenza, quando ormai solo il trapianto epatico può salvare la vita. “La situazione di Lucrezia era disperata, tanto che la sera stessa del ricovero è stata messa in cima alla lista nazionale ed europea dei trapianti. Una settimana dopo è stata sottoposta a un trapianto totale di fegato”, fa sapere Michela. “Ricordo ancora quelle ore, trascorse tra la speranza della sua salvezza e la consapevolezza che la sua vita era legata alla morte di una giovane donna che le donava il suo organo. Provavo un grande dolore nei confronti di quella madre che perdeva sua figlia, ma sentivo anche la forza di un mistero che espandeva la vita oltre la morte”.

Dopo l’intervento la piccola si riprende in fretta e viene dimessa dopo poco più di due settimane. Una storia, quella di Lucrezia, che testimonia in pieno il valore della donazione, della quale si è celebrata di recente la Giornata nazionale. Positivi i dati emersi: aumenta la disponibilità dei cittadini, migliora l’efficienza del sistema trapianti. Da segnalare che l’Italia si trova al secondo posto in Europa, dopo la Spagna, per numero di trapianti effettuati.

Ed è anche per contribuire a diffondere l’importanza di questo gesto che Michela ha voluto pubblicare il libro, che lei considera non solo un impegno sociale, ma quasi una chiamata per far comprendere come una vicenda di sofferenza e di morte può trasformarsi in una storia di rinascita. A scrivere ha cominciato subito dopo i giorni drammatici del ricovero. “Ho sentito subito l’esigenza di farlo, prendevo appunti durante le pause al bar dell’ospedale. Era un modo per fermare emozioni e vissuti ma anche per imparare tutto quello che mi fosse possibile della malattia della mia bambina e della sua nuova condizione”, spiega. “Ma soprattutto desideravo lasciare queste pagine come un regalo per Lucrezia, perché si potesse ricordare per sempre di quei momenti terribili dai quali, però, è sbocciata la sua seconda vita”.

A proposito, come sta Lucrezia oggi? “Fa controlli periodici ed è costretta ad assumere ogni giorno dei farmaci, gli immunosoppressori, per aiutare il suo corpo ad accettare il nuovo organo. Purtroppo, ha subito un rigetto acuto lo scorso anno, però adesso sta bene, è serena ed ha ripreso le sue attività. Frequenta il liceo classico e ha anche vinto un oro e un argento nelle gare interregionali di pattinaggio artistico”. Michela riconosce quanto questo evento abbia cambiato in modo irreversibile tutta la famiglia, compreso Ludovico, risultato portatore sano del morbo.

Lei, da mamma, tiene duro, dopo aver subito i contraccolpi del trauma. “Ho sofferto di esaurimenti nervosi ma ora sto meglio”, dice. “Lavoro, e ricomincio a riassaporare i piccoli e grandi piaceri della quotidianità. Ma ho imparato a vivere alla giornata, e svegliandomi, la mattina, mi ricordo che ogni giorno è regalato e che il miracolo, in fondo, è proprio questo”.

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