lunedì 25 dicembre 2023
Immaginate di aver lasciato tutto in un altro paese: casa, famiglia, amici. Siete dei ragazzini arrivati in un posto che non conoscete. Siete sbarcati in Sicilia e qui inizia il progetto “Terreferme"
Ermanno e Carolina con i gemelli Ahmed e Wegih arrivati in Italia quando avevano 11 anni

Ermanno e Carolina con i gemelli Ahmed e Wegih arrivati in Italia quando avevano 11 anni - Collaboratori

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Immaginate di aver lasciato tutto in un altro paese: casa, famiglia, amici. Siete dei ragazzini e arrivate in un posto dove le persone non parlano la vostra lingua, il cibo è diverso e intorno a voi c’è solo confusione. Siete appena sbarcati in Sicilia. La vita di prima si è interrotta e ora inizia quella nuova: qui inizia il progetto “Terreferme”. «Nasce tutto nel 2017 quando i minori migranti non accompagnati che arrivavano erano davvero tanti e le comunità non potevano essere l’unica scelta possibile per loro. Il diritto a crescere in una famiglia è previsto dalla legislazione italiana, va tutelato e soprattutto applicato». Lo dice in modo chiaro Liviana Marelli, referente nazionale per le politiche minorili del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca)e membro dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza.

«”Terreferme” nasce dalla collaborazione con Unicef, che finanzia il progetto, seguendo un principio di “corresponsabilità nazionale”: non sono solo le Regioni e i Comuni a doversi far carico dell’accoglienza di questi minori, ma è lo Stato stesso». «Le prime regioni ad attivarsi sono state la Sicilia, dalla quale partivano i ragazzi, il Veneto e la Lombardia dove invece arrivavano. In questo caso erano affidi a distanza. Poi siamo passati a quelli in loco, più facili e anche meno traumatici per il minore, perché la famiglia affidataria si trova nella stessa regione».

Il Cnca cofinanzia “Terreferme” che è il primo progetto di questo tipo ramificato in tutta Italia. «Le regioni che aderiscono sono aumentate a cinque – spiega Mattia De Bei, referente per il Veneto – e nel 2024 arriveranno a sette». Per ora gli affidi familiari sono un centinaio, ma cresceranno nei prossimi anni. «I ragazzi che arrivano hanno tra i 13 e i 18 anni e sono in maggioranza maschi. In Veneto ha risposto molto bene la provincia di Vicenza, ma anche Verona, Padova e Treviso si sono mobilitate per l’accoglienza» dice De Bei. Le famiglie possono scegliere tra affido residenziale, affido diurno o vicinanza solidale, per esempio aiutando i i minori a fare i compiti o accompagnandoli a fare sport. In base all’impegno economico richiesto ricevono un contributo.

La forza del progetto è di «non lasciare sole le famiglie affidatarie, ci sono momenti conviviali, riunioni, percorsi formativi, tutor, assistenti sociali e psicologi che le supportano durante tutto il percorso».

Parole confermate da Sandro e Serena, entrambi infermieri, tre figli e genitori affidatari di Theo, neo diciottenne del Camerun. Vivono a Villa d’Asolo, Treviso e sono da sempre una «famiglia aperta, prima come Gruppo missionario che ci ha portati per due anni in Brasile e poi di nuovo qui». Il primo scoglio per iniziare l’accoglienza è stata la casa, troppo piccola per un’altra persona e allora «è intervenuta la Diocesi che ci ha dato un immobile inutilizzato» racconta Sandro. Lo spazio ora c’era, ma mancava Theo, arrivato a fine gennaio del 2022 dopo essere stato in comunità a Palermo per un anno.

«C’è servito tempo per conoscerci e – ride Sandro – quando è arrivato il 18esimo compleanno di Theo c’è stata la questione della torta, che a lui non piace» perché «i dolci non fanno parte della sua cultura», precisa Serena. Theo è un gran mangiatore di carne e così «gli abbiamo fatto un bel pollo arrosto con le candeline in cima». Poi si è presentato un secondo problema: i suoi amici gli hanno chiesto una foto della torta. Lui è andato da Serena e le ha detto: «Mamma come faccio? Io mi vergogno di inviare la foto del pollo con le candeline». Theo gioca a rugby, si sente parte della famiglia («i nonni lo considerano un nipote a tutti gli effetti») e ha chiesto al giudice minorile di restare in affido fino ai 21 anni, poi si vedrà. A Sarcedo, Vicenza, ad aggiungere un posto a tavola sono stati Paola e Patrizio, sposati da 31 anni e abituati ad avere un viavai di persone in casa: «Non potevamo avere figli nostri – racconta Paola – e così abbiamo adottato due sorelle brasiliane, poi ci sono stati due affidi nazionali e dopo siamo diventati nonni».

Paolo e Patrizio con Zizzo, 18 anni, egiziano.

Paolo e Patrizio con Zizzo, 18 anni, egiziano. - Collaboratori

Ma Paola e Patrizio proprio fermi non sono stati e nel 2018 sono andati a Palermo a conoscere Zizzo, egiziano, 14 anni, sbarcato in Sicilia tre anni prima. «È un ragazzo molto sveglio e ha imparato subito l’italiano, ha frequentato qui la terza media, poi ha fatto l’istituto alberghiero e ora lavora in un ristorante». Zizzo all’inizio chiamava la famiglia in Egitto tutti i giorni e poi per un lungo periodo ha smesso. Paola ne ha parlato con lui e le ha detto che «era arrabbiato con loro perché lo avevano messo su una barca, come se non lo volessero. Va considerato però che il concetto di famiglia nei paesi arabi è diverso. Ora sente sia la nonna che la mamma». Zizzo si è subito calato nei panni dello zio quando è nata la nipotina tanto che «è stato uno dei primi a prenderla in braccio», mentre con la «nostra figlia più piccola si sentono proprio fratelli, litigano da veri fratelli».

Lui ha un senso etico molto forte «che non ha nulla a che fare con la religione, lui è e vuole restare musulmano, ma non è rigido, però sente questa spiritualità e dice sempre che “dobbiamo cambiare le cose possiamo e accettare le altre”». Anche in un piccolo paese sulle colline del veronese c’è un po’ di Egitto e a portarlo sono stati i gemelli Ahmed e Wegih che con Zizzo hanno condiviso tutto fin dal viaggio in barcone che li ha portati in Italia.

I genitori affidatari dei gemelli sono Carolina ed Ermanno, abituati all’ospitalità: vicini di casa, un ragazzo giapponese che è stato da loro per qualche tempo, gruppi di ciclisti che hanno fatto di casa loro una tappa fissa. «I gemelli sono arrivati nel 2019, avevano undici anni e per tre erano stati a Palermo in comunità. Non potevano essere più diversi» racconta Carolina. Arrivato il momento di inserirli a scuola Wegih è finito nella classe dove insegnava Ermanno e Ahmed in un’altra sezione.

Se il progetto “Terreferme” è accanto alle famiglie, non sempre lo è lo Stato e la burocrazia rallenta le cose. «Riuscire ad avere i permessi di soggiorno è stata un’impresa, io perdevo ore di lavoro e i ragazzi di scuola» dice Ermanno. Anche avere il rinnovo del prosieguo amministrativo è difficile e Paola ha dovuto «sollecitare più volte perché la situazione si sbloccasse, nessuno mi rispondeva e sembrava tutto fermo». Marelli aggiunge poi che «non è raro dover battagliare con i Comuni perché eroghino il contributo da dare alle famiglie affidatarie. Bisogna spiegare cos’è, come funziona, quale legge lo prevede, come applicarla. Insomma non è semplice, ma noi ci battiamo per non mandare i ragazzi nelle comunità: in famiglia c’è un rapporto uno a uno davvero prezioso».


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