martedì 27 febbraio 2024
Una coppia toscana con 11 figli, una bambina affetta da gravissime patologie scomparsa da pochi giorni, un gesto di generosità senza confini. Quando le leggi vanno cambiate
La famiglia Martellacci

La famiglia Martellacci - .

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Perché una famiglia affidataria che apre le porte di casa a una bambina lasciata in un reparto di terapia intensiva con patologie gravissime, quando questa vita già fragile si spegne, non ha il diritto di accompagnarla nell’ultimo viaggio, di organizzare il funerale, di preparare una sepoltura dignitosa?

È la domanda, straziante ma legittima e comprensibile, posta da Benedetta Martellacci e dal marito Massimiliano, genitori di 11 figli, otto naturali, due in adozione e l’ultima, Vittoria, due anni e tre mesi, accolta in affido e morta lo scorso 22 febbraio. Fin dalla nascita la situazione di Vittoria è apparsa molto precaria. Paraplegica, affetta da idrocefalo e da altre gravi patologie, è stata ricoverata al reparto pediatrico di terapia intensiva dell’ospedale Mayer di Firenze. In breve, i genitori biologici non hanno retto alle difficoltà delle cure, hanno fatto marcia indietro ed è stato necessario l’intervento dei servizi sociali e del Tribunale per i minorenni.

Qui entrano in azione Benedetta e Massimiliano. Abitano a Sassetta, minuscolo borgo medievale arroccato sulle colline della Val Canina, non lontano da Castagneto Carducci, provincia di Livorno e diocesi di Piombino – Massa Marittima. Sono una coppia preparata all’affido e all’affido-ponte, quella situazione per cui i bambini molto piccoli dichiarati in stato di abbandono o allontanati dalla famiglia dall’autorità giudiziaria, in attesa che il Tribunale decida per loro un progetto di vita, vengono affidati a una famiglia per l’accudimento e per rendere meno traumatica la fase del distacco. Benedetta e Massimiliano fanno parte dell’associazione M’Ama – Dalla parte dei bambini, che si batte per i diritti dei piccoli più sfortunati, promuovendo formule di affido e di adozione per offrire a tutti i piccoli rimasti senza famiglia, la possibilità di guardare al futuro con nuove speranze.

Una scelta solidale che per la coppia toscana, impegnata anche in parrocchia nella catechesi e in altre attività, è diventata uno stile di vita. E loro, con otto figli – la più grande è nata nel 1995, il più piccolo nel 2014 – di accoglienza della vita se ne intendono. Tanto da aver messo da parte ogni timore e allargato il cuore ad altre due figlie adottive, una ragazzina dodicenne con problemi cognitivi e una ragazza 19enne, adottata dopo un affido sine die protrattosi per 16 anni. Ce n’è abbastanza? No, l’amore di due genitori adottivi ha una straordinaria capacità di moltiplicarsi offrendo ad ogni figlio – la differenza tra naturale e adottivo qui diventa irrilevante - una dose d’affetto sempre crescente, sempre sovrabbondante. Le leggi dell’aritmetica impallidiscono. Contano quelle del cuore. E ogni divisione diventa moltiplicazione.

Infatti, quando il Tribunale li contatta per Vittoria, che “ha qualche problema e avrebbe bisogno dell’affetto di una famiglia”, loro non ci pensano due volte e corrono a Firenze per capire quale sia quale sia il “problema” della piccola. Al reparto del Mayer si trovano di fronte a una bambina, come detto, con patologie gravissime. I medici non nascondono la precarietà della situazione. “Potrebbe andare avanti un mese, due forse, non sappiamo. Ve la sentite lo stesso?”. Benedetta e Massimiliano si guardano. Non c’è neppure il bisogno di parlarne.

Ma accogliere Vittoria non è semplice, ha bisogno di supporti specialistici, di interventi quotidiani per collocare e pulire tutti gli apparati che la tengono in vita, dalla deviazione al peritoneo al sondino naso-gastrico che le permette di nutrirsi, ad altri ausili sanitari. “Abbiamo fatto tre mesi di addestramento al Mayer per imparare al meglio tutto quanto”, spiega mamma Benedetta. Poi, una volta a casa, la piccola viene accudita per circa 20 ore al giorno da tutta la famiglia. Accanto alla mamma c’è la terzogenita Benedetta, 20 anni, che frequenta la facoltà di Infermieristica, ma nessuno degli altri figli si tira indietro. Tutti collaborano all’accudimento di quella sorellina speciale che in pochi mesi, lottando con tutte le sue forze, subisce quattro interventi chirurgici.

Ma non è accanimento. Anzi, con la sua nuova famiglia Vittoria sembra migliorare. Sorride, sillaba qualche “ma.. ma…”, allargando il cuore di Benedetta. Trascorre addirittura qualche giorno al mare, in montagna, alle terme con i genitori e i fratelli. Ma la sua salute è troppo compromessa e la piccola alla fine non ce la fa. “Mi è morta tra le braccia, serena, il 22 febbraio scorso”, racconta la mamma affidataria con la voce rotta dall’emozione. E, a quel punto, la legge dice che i diritti di una famiglia affidataria decadono. Per tutte le pratiche relative al funerale e alla sepoltura tornano in gioco i genitori naturali.

“Capisco che il problema potrebbe apparire irrilevante – sottolinea Benedetta – ma dopo aver dato tutto, per tanti mesi, a questa piccola, con un amore senza confini, doverci tirare indietro proprio nel momento di accompagnarla nelle braccia del Signore, non ci è parso giusto. Forse bisognerebbe ripensare questa legge. Quando Vittoria lottava con tutte le sue forse per sopravvivere dentro e fuori la sala operatoria, noi eravamo accanto a lei. E avevamo il dovere di farlo. Poi, quando è mancata, non abbiamo più avuto alcun diritto. Un’emarginazione di fatto, che ci ha fatto soffrire e tuttora ci procura tanta angoscia”.

Forse, argomenta Benedetta, bisognerebbe riconoscere che non tutti gli affidi sono uguali. Quando siamo di fronte a un ragazzino in buona salute che ha buone possibilità di far ritorno a casa dopo una parentesi difficile della famiglia, è giusto continuare a garantire tutti i diritti del caso ai genitori biologici. Ma quando l’affido riguarda un neonato affetto da patologie gravissime abbandonato in ospedale, è evidente che la famiglia affidataria viene investita da una responsabilità ben più gravosa e totalizzante. Perché in questi casi allora non permettere che i genitori affidatari si prendano cura di questi bambini fragili anche dopo la morte, per tutte le indispensabili pratiche burocratiche e per la gestione del rito funebre a cui la fede, giustamente, attribuisce un valore tanto rilevante?

Una domanda che ci sentiamo di consegnare al legislatore, nell’ipotesi di revisione di quella legge su adozione e affido che, anche per questi aspetti, dopo oltre 40 anni, avrebbe bisogno di essere attualizzata e resa più agile.

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