Foto Siciliani
Primo anziano: «Anche gli amici ti aiutano, ti danno magari qualcosa che ti aiuta e ti dà soddisfazioni. Io ho anche una buona rete amicale per cui mi sento sostenuto anche da quella… C’è questo circolo di anziani che è gestito sostanzialmente da privati, è stato costruito da alpini ed è una gestione privata per cui c’è questa valvola di sfogo serale».
Secondo anziano: «Ho una vicina che è mia amica e con quella andiamo proprio bene, andiamo d’accordo, ci confidiamo, ci teniamo insomma le nostre pene, ce le dividiamo».
Terzo anziano: «Nonostante i miei problemi, quelli ci sono, però ci sarebbe l’opportunità, avendo dei soldi, di essere un pochino curato, diciamo sostenuta, e questo mi manca molto. Mi manca molto».
Sono tre passaggi di 62 interviste realizzate ad altrettante “diadi” composte da donne e uomini anziani e dalle loro persone di riferimento, nella maggior parte dei casi i figli (69%), in altri casi il coniuge (14%), un volontario/amico (9.7%) oppure un nipote (6,5%). Sono state condotte da Donatella Bramanti, ordinario di sociologia all’Università Cattolica e da due ricercatori nello stesso ambito, Sara Nanetti e Matteo Moscatelli. Obiettivo quello di dimostrare come solitudine e isolamento sociale siano realtà nefaste nella transizione all’età anziana e come, al contrario, una buona rete familiare e amicale, contatti sociali costanti e vivacità nel coltivare interessi e obiettivi possano contribuire ad affrontare meglio gli eventi stressanti legati al processo di invecchiamento.
Lo studio è inserito nel volume La famiglia che invecchia. Vivere e accompagnare la transizione alla fragilità (Vita e Pensiero, pagg. 320, euro 30), curato da Donatella Bramanti e Silvia Donato. Le interviste sono state suddivise in tre tipologie, la diade “protagonista” che identifica un anziano – e la sua persona di sostegno – inseriti e partecipi nel contesto sociale allargato. «Entrambi i soggetti si sentono sostenuti e sono in grado, in diversa misura di ricambiare il supporto ricevuto, mantenendosi attivi all’interno della rete di appartenenza». C’è poi la diade “supportata” in cui ci sono, seppure in misura differente, aiuti e sostegni a favore dell’anziano. In questi gruppi le funzioni di sostegno appaiono garantite «e c’è anche la possibilità di condividere una serie di compiti». Meno favorevole la situazione della diade definita “isolata”. Sono anziani e familiari che non possono contare su alcun supporto e spesso si ritrovano soli ad affrontare le situazioni più difficili. In qualche caso «questo sentimento di solitudine è esplicitato anche in presenza di aiuti esterni, che però non paiono contrastare il malessere, il senso di solitudine e di isolamento».
Ma cosa determina l’una o l’altra condizione? Innanzi tutto, la capacità di mantenere i legami familiari anche di fronte agli eventi più stressanti, come per esempio il Covid. Quando ci sono figli e persone di riferimento disposte ad offrire solidarietà e vicinanza, tutto funziona al meglio. Importanti anche le condizioni strutturali della famiglia, la vicinanza geografica, la frequentazione costante. Racconta una figlia: «Devo dire che è anche un nonno molto fortunato perché ha i tre figli che sono in un raggio massimo di 15 chilometri. I nipoti anche, lo vengono a trovare… Si è adattato senza troppi inconvenienti». E un altro anziano soddisfatto spiega: «Io mi sento sostenuto parecchio, perché le ho vicine, ho vicino tutte e due le figlie compresi i nipoti. Anzi, non posso dire proprio niente perché sono proprio tenuto da conto dalle figlie e dai nipoti, quindi sono più che sostenuto».
Nelle situazioni più favorevoli, in presenza di nipoti, la persona anziana diventa un punto di riferimento fondamentale, trasmette fiducia, la sua vita e la sua “identità” acquisiscono un nuovo senso. Talvolta a rendere il quadro esistenziale più favorevole sono le reti amicali, con relazioni che generano soddisfazione e, scrivono gli autori, confermano «i significati di una storia passata insieme, di una trama relazionale importante, che si è intessuta nel tempo».
Altre interviste mettono in luce l’importanza del paese dove si vive, dei condomini che hanno rappresentato una costante nelle vite di molti anziani, delle reti di comunità: «Ho ottimi rapporti con i condomini… c’è stato il funerale di un anziano, ho cucinato una grande trippa per tutti i parenti, quindi c’è un po’ di rete sociale condominiale». Situazioni diverse che, annotano gli autori, dovrebbero sottolineare l’importanza di prestare maggiore attenzione alla transizione all’invecchiamento. Servono risposte nuove, avendo chiare differenti risorse e fragilità.
Negli altri studi del volume Guido Giarelli analizza i concetti di terza e quarta età alla luce della ridefinizione complessiva della vecchiaia nell’immaginario sociale; Francesca Morganti sostiene la necessità di andare oltre lo stereotipo ageista (le forme di pregiudizio verso una persona in ragione solo dell’età) e accompagnare le persone verso una responsabilizzazione circa la propria traiettoria di invecchiamento; Lucia Boccaccin sottolinea il valore delle reti associative per un invecchiamento attivo, mentre il teologo Alberto Cozzi spiega il ruolo dei nonni alla luce del magistero di papa Francesco. Nella seconda parte del volume alcune ricerche sul ruolo centrale della relazione di coppia (Anna Bertoni e Maria Adele Piccardo); sui nipoti di nonni affetti da demenza senile (Silvia Donato, Aline Marchese e Manuel Faggiano); sui familiari di anziani fragili istutuzionalizzati (Elisa Casati, Miriam Parise, Laura Ferrari, Silvia Donato) e, infine, sulla necessità di prendersi cura dei caregiver (Sara Mazzucchelli ed Elena Baldassari).
Di grande interesse le buone pratiche di intervento presentate nell’ultima parte del testo. Il primo contributo passa in rassegna alcuni tra gli interventi più accreditati per l’accompagnamento degli anziani (Valentina Gramese, Davide Maria Commusuli, Lorenzo Augusto Prete, Gianluca Castelnuovo); con il progetto “SonoraMente” si sottolinea poi il valore della musicoterapia (Anna Scisi, Marta Vinci); mentre il progetto “L’Ago-Ricamare reti generative per anziani” si mette in rilievo un intervento di welfare di comunità (Lucia Carli, Costanza Marzotto); altrettanto interessante il progetto “Curopoli” per promuovere la cura dei caregiver e il contrasto dell’ageismo nel territorio milanese (Cristina Cortesi, Barbara Salerno, Matteo Moscatelli) e, infine, si dà conto della prima sperimentazione italiana di “Dementia Friendly Community” attivata nel Comune di Abbiategrasso allo scopo di promuovere l’indipedenza dell’anziano affetto da demenza senile (Laura Pettinato).
Conclude il volume una postfazione della sociologa Eugenia Scabini, presidente del Consiglio scientifico del Centro di ateneo studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica, sul senso della riconoscenza da assumere in una logica di reciprocità, sia verso gli anziani, sia degli anziani verso tutti coloro che si prendono cura di loro. “Provare gratitudine è cogliere l’aspetto di dono delle vicende della vita, sapendo andare al di là delle prove e del limite della propria vita personale. Noi, in una prospettiva familiare – scrive Eugenia Scabini – vediamo il bilancio in termini generazionali e lo colleghiamo alla capacità della generazione anziana di favorire il transito/passaggio delle eredità materiali e morali a quella successiva che è a sua volta chiamata ad accogliere il patrimonio materiale e morale ricevuto, assumendone la responsabilità (ri-conoscendolo) e rilanciandolo in avanti nella nuova famiglia e nella comunità sociale. In questo modo anche l’ultima fase dell’esistenza realizza una sua propria forma di generatività, riuscendo a “trapassare” la morte.