Pochi mesi fa, quando ci siamo sentiti l’ultima volta, mi ha ripetuto la sua convinzione più radicata. “Non c’è nulla di più importante dell’amore. Amare, essere amati, vivere nella gioia. La gioia più grande è l’amore. La gioia è il segreto di tutto. Io e mia moglie ci amiamo da quasi 70 anni nella gioia. Il nostro presente continua a diventare sempre più bello». Adesso il “quasi” possiamo toglierlo. Antonio e Giulia continuano il loro presente nell’eternità. Un presente diventato “per sempre” nell’abbraccio di Dio. Lui se n’è andato ieri. Lei lo scorso 20 marzo. Entrambi novantenni, entrambi già provati da vari acciacchi, non hanno resistito al Coronavirus che li aveva contagiati insieme. Chi li conosce non si meraviglia che alla fine di una lunga e intensa vita insieme, insieme siano stati abbracciati dall’amore del Padre.
Un amore di cui Antonio e Giulia era certissimi, pur nelle traversie di un’esistenza che non ha risparmiato loro nulla, neppure la morte di un figlio 50enne per un rara malattia genetica. “Il punto iniziale per testimoniare il Vangelo è vivere con cuore grato la fatica dell’esistenza umana”. È un passaggio del messaggio dei vescovi per la 40ª Giornata nazionale della vita che Antonio aveva fatto suo. Non a parole. Nella concretezza della quotidianità, con gioiosa convinzione. Da una decina d’anni Thellung – un vulcano di progetti e di idee nonostante l’età – aveva scelto di mettere da parte quasi tutto per diventare il “badamante” della moglie, più segnata di lui dal trascorrere degli anni. Nell’introduzione al libro “Amarsi da vecchi. E credere nell'incredibile” (Gribaudi) uscito nel 2018, aveva deciso di intitolare un capitolo dedicato ai suoi cenni biografici “Dall’usignolo al badamante”. Perché da ragazzino Antonio era così minuto che per familiari e amici era sempre e comunque “l’usignolo”.
E in effetti, nel corso della sua lunga esistenza, non ha smesso un istante di cantare. Tre figli, otto nipoti, quattro bisnipoti. Tante "vite" intensissime che si sono incastrate di volta in volta una dentro l’altra. Due volte campione italiano di rally, pilota d'aereo, fondatore di comunità familiari, assistente di malati terminali, scultore, pittore, poeta. Ha scritto anche 25 libri, tra cui alcuni saggi di teologia esperienziale che non hanno mancato di far discutere. Come "La morale coniugale scompaginata" (1999), "La conversione dei buoni" (2004), a quattro mani con padre Alberto Maggi, "L'elogio del dissenso" (2007), "I due cristianesimi" (2012). Alcuni testi conservano una forza profetica sorprendente.
Soprattutto" La morale coniugale scompaginata", scritto in anni in cui il “dissenso etico” non era certamente gradito, ha aperto un dibattito vivace, anticipando alcune aperture di papa Francesco. A dimostrazione della vivacità intellettuale di un uomo che non ha mai smesso di interrogarsi, di chiedere ragione, di approfondire. Un cattolico autentico ma anche un figlio genuino del rinnovamento aperto dal Vaticano II, che non si è mai accontentato di norme separate dalla realtà.
Aveva, come detto, una gioia grande dentro il cuore, il suo matrimonio, compresa e diventata gratitudine sempre più consapevole e profonda con il trascorrere degli anni: “Il mio matrimonio, la mia grande famiglia. Il nostro amore coniugale – amava ripetere - è stato costruito fin da subito con l'intenzione di durare nel tempo. Avevamo immaginato che un rapporto monogamo portato avanti per tanti anni, potesse produrre frutti interessanti, oggi conosciamo i risultati e possiamo dire che sono più interessanti di quanto ci saremmo potuti immaginare”. E si rammaricava che la Chiesa, la teologia non avessero ancora indagato come necessario, l’amore degli anziani, il sentimento che cresce nei decenni e, lungi dall’affievolirsi, diventa sempre più pieno ed autentico.
“Abbiamo paura di parlare dell’eros dei vecchi sposi. Ma è un errore. Raccontiamoci senza pudori, senza falsi ritegni. Anche la sessualità degli ultraottantenni è un dono di Dio”, aveva detto nell’ultima estate prima della pandemia, presentando alla comunità di Villapizzone a Milano, il suo libro “Amarsi da vecchi”, di fronte ad alcune decine di amici e di estimatori. «È proprio così. Che bella vecchiaia stiamo vivendo con mia moglie Giulia. La più grande fortuna sta senza dubbio nell'avere qualcuno da amare. Noi abbiamo la sensazione di fare esperienza d'amore divino, perché se non fosse così non sapremmo proprio da cosa potrebbe derivare questa nostra incredibile beatitudine». La speranza dell'aldilà radicata nel fondamento razionale dell’amore coniugale. Spiritualità incarnata, carne che si fa anima e preghiera. Il mistero più grande.
Era una meraviglia sentirlo argomentare, con calma e convinzione, la voce velata, lo sguardo che tornava ogni dieci secondi su Giulia seduta accanto, quasi a ribadire che le parole avevano una corrispondenza reale. Come quelle che aveva incontrato nel quinto capitolo di Amoris laetitia: gratuità, generosità, perdono,misericordia. Sintesi, a suo parere, delle più belle virtù coniugali. La più importante? “Perdono, sicuramente. Anzi, "per dono", che non va inteso però come una scelta di riparazione, come qualcosa che si mette in atto perché le cose non funzionano. Il "per dono" dev'essere un atteggiamento da scegliere a priori, quando tutto sembra andare. Ci facciamo il "dono" di condividere tutto, gioie e amarezze, di continuare per sempre con te. E quando c'è qualcosa che non funziona, litighiamo pure, ma tenendoci per mano, mettendo prima in campo tutto quello che ci unisce”.
E proprio in questo modo ci piace immaginare oggi Antonio e Giulia, mano nella mano, per sempre, avvolti in quell’Amore che hanno cercato e a cui hanno dato concretezza per settant’anni in questa vita, prima di proseguire nell’altra, che non avrà fine.