mercoledì 29 novembre 2023
Sul clima pesano follie e tradimenti
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Carbone, petrolio e gas, le fonti fossili di energia, sono la «radice avvelenata » della crisi climatica e vanno «strappate» se vogliamo ancora avere la possibilità (che tuttavia molti, al punto in cui siamo, considerano fuori portata) di contenere l’aumento delle temperature medie globali entro 1,5° gradi centigradi. Cioè il limite che l’Accordo di Parigi raggiunto alla COP21 di fine 2015, otto anni or sono, ammoniva di non superare per non incorrere negli impatti più catastrofici della crisi climatica che sta esplodendo sotto i nostri occhi. Ha usato esattamente queste parole il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, commentando l’ennesimo rapporto sullo stato dell’arte nella lotta alla crisi climatica a livello mondiale presentato in vista della COP28 che si apre domani in Dubai. Si trattava dell’Emissions Gap Report 2023 pubblicato da Unep, il programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, che titolava in maniera inequivocabile: « Record infranto », con accezione ovviamente negativa in riferimento da una parte alle temperature globali che continuano a crescere, dall’altra all’incapacità del mondo di tagliare le emissioni che stanno facendo crescere quelle temperature. Ma è più corretto parlare di mancata volontà. Perché il mondo non ci sta neanche provando, a strappare quelle radici avvelenate. Anzi, sta continuando a farle crescere, con un atteggiamento totalmente folle, irresponsabile, gravemente colpevole, pur sapendo che esse rappresentano la causa principale della catastrofe climatica e che stanno continuando ad alimentarla.

La mancanza di volontà emerge chiaramente da una lettura anche rapida del rapporto. Dove già nel primo punto dell’Executive Summary si dice che nel 2022 la crescita della domanda mondiale di elettricità è stata soddisfatta soprattutto dalla crescita della produzione di energia rinnovabile, in particolare quella solare che ha registrato nuovi record, questi sì positivi, quanto a capacità installata. Ciò nonostante, si è continuato a investire nell’estrazione di combustibili fossili in gran parte del mondo. E si pianifica di continuare abbondantemente a farlo, il che vuol dire pianificare di non restare entro i limiti dell’Accordo di Parigi. Significa non voler restare entro quei limiti. Pur sapendo che rispettarli è cruciale per il futuro dell’umanità. Pur essendosi impegnati a farlo nel 2015. Il fallimento come scelta: follia sommata a tradimento. Le parole di Guterres ancora una volta verranno utilizzate e rilanciate, giustamente, da chi sta cercando di opporsi con ogni mezzo a questa follia e a questo tradimento, pretendendo un cambio di passo. O, meglio, un’inversione a “U”. A cominciare proprio dalla finanza, cioè da chi, siano essi soggetti pubblici, il che è più grave, o privati, che magari si riempiono la bocca parlando di finanza sostenibile, mette a disposizione la linfa finanziaria che permette di continuare in questa follia, in questo tradimento.

Per fortuna segnali della volontà di prendere un’altra direzione, nei fatti e non a parole, ci sono. Ad esempio quelli che arrivano dalle prime istituzioni finanziarie che hanno deciso di sostenere ufficialmente il #FossilfuelTreaty, l’iniziativa globale per arrivare a un Trattato di Non-Proliferazione delle fonti fossili. Un sostegno che si può considerare una forma di attivismo che anche gli attori finanziari ora hanno a disposizione. Ecco, al punto in cui siamo non serve più, anzi è controproducente, che questi soggetti se la cantino e se la suonino, girando per convegni a raccontare della supposta sostenibilità del loro modo di agire. Si vada oltre, e lo si faccia presto: c’è bisogno che anch’essi si attivino per dire basta, senza se e senza ma, a quella follia e a quel tradimento. È la finanza attivista l'antidoto alla finanza avvelenata che ci sta scavando la fossa. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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