Una foresta del Nord Europa - jplenio per Pixabay CC
Due sorelle, una mamma ambientalista alla vecchia maniera, e tanti alberi del Nord Ovest dei Paesi Bassi. È un’infanzia totalmente immersa nei boschi olandesi quella di Fenna Swart, uno dei volti più noti dell’ambientalismo di Amsterdam. Più verde dei Verdi (partito in cui ha militato e lasciato in rottura sulla definizione delle biomasse), Fenna oggi è a capo di una Ong, Comitato per l’aria pulita, che nei Paesi Bassi è riuscita a far capire la pericolosità del pellet. Ora la maggior parte dell’opinione pubblica olandese è contraria alla produzione di energie da materiale legnoso. «Non si tratta di scarti – spiega l’ecologista – bensì di alberi interi bruciati per produrre energia. Un’assurdità».
La incontriamo in un’insolitamente fredda e piovosa giornata estiva a Bruxelles. «Sono andata a portare un regalo al Commissario europeo per il Clima Frans Timmermans – dice ironica –. Il regalo è un sacchetto di pellet con un post-it giallo con su scritto “ero una foresta”». Cosa dovrebbe farsene Timmermans? «Dovrebbe tenerlo sulla sua scrivania per riflettere e poi mettere fine ai sussidi che il settore energetico delle biomasse riceve dall’Unione europea – continua Fenna – perché i sussidi hanno alterato il mercato: se prima si bruciavano solo scarti, ora si riducono in pellet alberi interi».
L'ambientalista olandese Fenna Swart - Avvenire
Il problema inizia ad essere avvertito anche nei paesi Scandinavi, finora elogiati per il modello forestale aritmetico basato sul principio che per ogni albero abbattuto se ne ripiantano due. Tanto che la battaglia di Fenna contro le centrali a biomasse in Olanda ha avuto il sostegno della giovane attivista svedese Greta Thumberg. L’aritmetica – ricordano gli ambientalisti – non si applica alla biodiversità. Se si abbatte foresta primaria per sostituirla con alberi monofusto non solo si perdono molte specie vegetali e animali, ma si perde drammaticamente anche capacità di stoccare CO2.
Il modello scandinavo è stato bocciato anche da una parte della comunità scientifica: 500 scienziati di diversi Paesi a febbraio scorso hanno scritto una lettera alla Commissione Europea e al presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, per porre fine agli incentivi destinati alle centrali a biomasse. I cittadini europei pagano oltre 6 miliardi all’anno in sussidi alla combustione di legno, considerata una fonte rinnovabile. L’appello ha messo insieme nomi di altissima caratura scientifica (primo firmatario è il celebre botanico e ambientalista americano Peter Raven).
E anche il mondo della società civile e dell’ambientalismo si sta muovendo di conseguenza. «Con questa pandemia molte persone hanno scoperto l’importanza della campagna, e degli alberi – spiega Laura Sullivan, responsabile della piattaforma online WeMove a Bruxelles che ha raccolto oltre 240mila firme contro gli incentivi per le centrali a biomasse –. Gli alberi donano un senso di pace, i firmatari della petizione si chiedono, molto banalmente, perché li stiamo bruciando».
Una massa di pellet, legno da bruciare per produrre energia - Mr Didg per Pixabay CC
Tra I promotori della petizione anche la Forest Defenders Alliance, network di 130 associazioni tra cui spicca l’italiana Green Impact insieme alla Lipu e tante altre. Il problema infatti è anche italiano, sebbene la superficie forestale nel nostro Paese aumenti, siamo tra i primi consumatori in Europa di pellet, basti pensare che nel 2019 se ne sono consummati circa 3,4 milioni di tonnellate (dati Eurostat). «Bruciare le foreste per produrre energia – denuncia Gaia Angelini, presidente di Green Impact – è quanto di più lontano e incoerente ci possa essere rispetto agli impegni presi in sede europea e internazionale circa lo stop alla perdita della biodiversità e il ripristino degli ecosistemi. Mette tristezza pensare che venga presentata come una soluzione climatica pensando che i cittadini siano poco informati».
Di fronte alle crescenti pressioni, la soluzione proposta da parte della politica e del settore industriale delle biomasse è quella della ridefinizione. Ovvero bruciare qualcosa che venga comunemente accettato come scarto, residuo, materiale organico che ricresce. Tanto che stanno nascendo i certificati del cosiddetto pellet sostenibile che inquinerebbe fino a quattro volte di meno rispetto al pellet normale. La battaglia ora, per gli ambientasti come Fenna è proprio quella di non cadere nella trappola dell’incomprensibilità delle direttive europee.
La Commissione europea deve lanciare la sua strategia per ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 (presentata mercoledì 14 luglio, ndr), ricorda Fenna, è inaccettabile che le emissioni prodotte dal taglio degli alberi a fini energetici non vengano contate, perché neutralizzate dai futuri alberi che una volta ripiantati ci mettono anni a crescere. Ma nella lotta contro il cambiamento climatico per Fenna, Greta, Laura e Gaia, unite in questa battaglia, questo tempo non lo abbiamo.