L'amministratore delegato di Snam Marco Alverà
L’impegno per i diritti delle donne è una mission che in Marco Alverà ha radici personali profonde. "Ricordo ancora oggi le estati trascorse da mia nonna in Italia quando ero poco più di un bambino e il resto dell’anno vivevo a New York – racconta l’amministratore delegato di Snam –. Eravamo a metà anni Ottanta, se oggi si parla di 5G all’epoca c’era il mitico "Commodore VIC-20". I miei genitori mi avevano regalato uno dei primissimi Mac e non posso certo dimenticare l’immagine di nonna Angelica, detta Kenta, scrittrice e storica dell’arte, intenta a digitare sulla tastiera del computer mentre esclamava "le donne per emanciparsi devono studiare informatica"". Questa frase è rimasta scolpita nella sua memoria e ha lasciato il segno. Non a caso, per rendere omaggio alla memoria della nonna e alle sue battaglie femminili, insieme a suo fratello Giorgio e ai suoi cugini, Marco Alverà ha avviato la "Fondazione Kenta", una realtà non profit che è nata nel quartiere Isola di Milano con l’obiettivo di promuovere eventi e iniziative culturali e formative dedicate soprattutto alle donne. Oltre alla Fondazione, per il manager del gruppo che controlla la rete italiana del gas la sfida di abbattere il gender gap è centrale in ogni attività. Tanto che, poche settimane fa, appena nominato presidente per il prossimo semestre del consorzio Elis (realtà non profit che si occupa della formazione e del rapporto scuola-lavoro), ha lanciato un progetto dedicato a promuovere la partecipazione delle ragazze ai percorsi STEM (acronimo inglese che indica scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) con la creazione di una scuola digitale per la transizione energetica. "Si stima che l’80% dei mestieri del futuro richiederà una qualche competenza tecnico-scientifica, ma in Italia solo il 5% delle 15enni vuole studiare materie STEM – afferma Alverà –. Ciò significa che come Paese abbiamo un problema non solo economico (visto che tale deficit vale qualche punto di Pil) ma anche culturale". L’obiettivo, allora, anche attraverso il progetto lanciato con Elis, è quello di convincere il maggior numero di ragazze a lanciarsi in terre finora inesplorate o quasi: "Circa il 60% delle adolescenti ritiene di essere meno portata di un maschio in matematica, ma è solo uno stereotipo – spiega Alverà –. Si pensi che negli Stati Uniti alcune università americane mantengono il numero chiuso altrimenti per meritocrazia entrerebbero quasi solo le donne. Il tema centrale, soprattutto in Italia, è quello di convincere tante ragazze che non c’è dicotomia tra materie-tecnico scientifiche e quelle filosofico-umanistiche".
Parla il manager, ma anche il padre di due figlie femmine. "La storia della mia vita e le esperienze personali non hanno fatto altro che rafforzare l’attenzione all’equilibrio di genere e alle altre pari opportunità. In Snam abbiamo il 50% di donne a livello di leadership team e puntiamo a salire a stretto giro al 25% di presenze femminili sul totale della forza lavoro in un settore tradizionalmente a prevalenza maschile, ma per raggiungere questo obiettivo abbiamo bisogno anche del supporto di scuole e università. In tal senso il Next Generation EU potrà portare a una svolta sia in termini di investimento sul sistema scolastico e universitario sia di sviluppo di una strategia nazionale per la parità di genere".
Nel periodo segnato dal Covid, invece, le diseguaglianze sono cresciute. Non solo il divario che separa ricchi e poveri, ma anche le distanze più "nascoste" si sono allargate. Si pensi, per esempio, allo squilibrio vissuto tra lavoratori dipendenti "garantiti" e le categorie professionali maggiormente colpite dalla pandemia a partire dai titolari di attività commerciali. Per non parlare delle penalizzazioni subite dalle migliaia di persone che vivono in aree non coperte da Internet. "Per colmare alcuni gap, compreso quello di genere, la tecnologia deve essere un alleato e non una leva penalizzante per chi non ne ha accesso - afferma Alverà -. Il Next Generation EU sarà uno strumento potente per ridurre il digital divide. La verità è che non c’è un’unica ricetta o la bacchetta magica per rendere il mondo meno diseguale, ma sicuramente per Stati e governi una ricetta efficace può essere quella di investire in formazione, in infrastrutture digitali e di attivare percorsi virtuosi tra tecnologia e scuola". L’Italia non parte da zero, anche in virtù del salto innovativo imposto dal Covid: "Tra Dad e Smart working – sottolinea Alverà – sono rimasto maggiormente impressionato da tutto ciò che in questi lunghi mesi siamo riusciti a fare, piuttosto che colpito in negativo dai limiti e dalle imperfezioni degli strumenti. Se penso che come Snam nell’ultimo anno e mezzo abbiamo stretto partnership strategiche, effettuato acquisizioni e chiuso accordi importantissimi con l’estero operando esclusivamente da remoto ancora adesso faccio fatica a crederci". Tra i pochissimi risvolti positivi di una pandemia che ha causato morte e danni sociali in tutto il mondo, c’è forse quello di aver aiutato tante aziende ad allargare l’orizzonte oltre il business e gli interessi dei soci. "Oggi Larry Fink dice che il profitto non è tutto e che l’obiettivo è creare valore di lungo termine per tutti gli stakeholder, ma su questo l’Italia aveva aperto la strada con Olivetti e altri imprenditori illuminati – afferma Alverà –. Il modello secondo cui chi sbaglia o non porta risultati immediati viene mandato a casa non funziona ed è anacronistico legare le retribuzioni unicamente agli utili. Del resto, ci sono lavoratori che "perfomano" ed eccellono pur non avendo retribuzioni legate a bonus o la minaccia del licenziamento sulle spalle. Essere soddisfatti sul lavoro o sentire di appartenere a un’azienda che ha un purpose condiviso genera motivazione".
Il manager evidenzia come quello economico stia diventando sempre di più uno degli aspetti da considerare per le imprese e non più l’unico parametro su cui basare le scelte. "È impossibile parlare di profitto senza sostenibilità e sono convinto che sarà sempre di più così in futuro – aggiunge Alverà –. Il green non è una moda o un trend, ma un processo che ormai è iniziato e non prevede retromarce. Ciò è avvenuto grazie anche all’attivismo e alla sensibilità dei giovani della generazione Greta Thunberg. Con il Covid i ragazzi non sono scesi più nelle piazze ma si sono fatti sentire forte e chiaro sui social. È anche grazie a loro se siamo arrivati al punto in cui l’amministrazione Biden ha convocato lo scorso 22 aprile un summit dei leader mondiali sul clima". Ormai in chiave ambientale la strada è tracciata: "La vera sfida per accelerare la transizione verde passa dal coinvolgimento del consumatore con scelte di acquisto sempre più consapevoli e orientate alla sostenibilità – conclude Alverà –. Sono sicuro che tante persone siano disposte a pagare leggermente di più beni e servizi, da un biglietto aereo a un prodotto alimentare, con la garanzia che siano totalmente sostenibili. Volare al 100% sostenibile aggiungendo 3 euro? Lo farebbero in tanti per convinzione o anche soltanto per raccontarlo agli amici. Insomma, dobbiamo rendere il green più visibile e più "cool"".